lunedì 23 dicembre 2013

Buon Natale

Periodo un po' così, non trovo più il tempo di aggiornare il blog.
Speriamo nell'anno nuovo, che peggio di questo non sarà facilissimo...
Buon Natale e buon anno a tutti.
:)

venerdì 8 novembre 2013

Suonare con il computer

Volevo chiedervi: quanti di voi suonano a casa con il computer?
Io lo faccio piuttosto regolarmente, un paio di volte alla settimana almeno indosso le cuffie e mi metto lì, con la mia chitarrina attaccata al computer.
Solo che, nonostante (o a causa di) le infinite possibilità che il computer offre, non combino mai un cazzo.

Perchè sono troppe, le possibilità.

Una volta, diciamo vent'anni fa, ti veniva voglia di provare a mettere un coso sulla chitarra, diciamo un chorus.
Andavi a vedere nel tuo negozio di strumenti i chorus, e se avevi una discreta confidenza[1] col negoziante potevi pure provarne uno o due.
A quel punto, se il risultato ti convinceva, compravi "Seconda mano" per un bel 15 giorni, in attesa che qualcuno vendesse usato un pedale come quello che serviva a te.
Oppure, in caso di disponibilità di suffcienti fondi, potevi addirittuta comprarlo nuovo.
Non succedeva quasi mai eh.

Diciamo che nel giro di due/tre settimane mettevi le mani sull'agognato coso.
Poi ci passavi un bel 15 giorni a provarlo, cercando di capirne possibilità etc. e finalmente entrava a far parte del tuo normale setup.
Prima di interessarti a un nuovo coso c'era l'intervallo fisiologico necessario a mettere da parte i soldi necessari all'eventuale nuovo acquisto, e tale intervallo fisiologico veniva usato per spremere dal coso tutte le sue possibilià.
Avevi solo quello, con quello dovevi giocare.
E, finito di giocare, di solito venivano fuori le canzoni.

Oggi, invece.
Anche volendo limitarsi agli strumenti virtuali gratuiti - che poi ci sono quelli a pagamento. E, naturalmente, quelli craccati. Ma io non li uso... - c'è sempre un nuovo coso.
Un nuovo ampli da provare, un delay da inserire, una combinazione di effetti da verificare.
Non smetti mai di giocare.

Così, invece di fare musica, provo i suoni.
Ho decine di "canzoni" con un accordo di chitarra processato in maniera sempre diversa.
(E quindi non sono "canzoni", ma registrazioni di accordi di chitarra processati etc.)

Canzoni complete, caspita: credo di non averne nemmeno una.

Possiamo fare un paragone tra l'abbondanza di dischi e l'abbondanza di dispositivi per fare musica?
Perchè i VST/VSTi sono per il musicista l'equivalente degli mp3 (gratuiti e/o a pagamento e/o rubati, il parallelo è prefetto anche qui)
Se esce il nuovo modello di ampli virtuale che suona come un Fender Twin Reverb del 1965, come fai a non provarlo?
Se esce il nuovo dely che riproduce il Roland RE201 del 1973 (con funzionamento a bucket brigade), come fai a non provarlo?
Se esce il nuov compressore modellato su quello delle console originali anni '60 degli studi di Abbey Road, come fai a non provarlo?
Se esce il nuovo pianoforte virtuale che etc. etc.

Per ogni prova van via le mezz'ore eh.
Quindi accendi il computer, fai partire la DAW, installi e colleghi i nuovi giocattolini da provare e registri un paio di accordi.
Poi giochi con i parametri per sentire cosa succede al suono.
Ci aggiungi questo e quello, magari improvvisi pure un po' sui due accordi messi in loop.
Alla fine hai un abbozzo di canzone, senza struttura nè niente, su cui probabilmente non tornerai mai.

Perchè la volta dopo accenderai il computer - magari anche con l'idea di riprendere in mano quella roba lì dell'altro giorno, che non era poi così male.
Non fosse che nel frattempo hai scaricato il nuovo coso e il nuovissimo robo, e non vuoi sentire come suonano anche questi?
Dopo un paio di mezz'orette, hai una nuova serie di accordi che non fanno mezza canzone, con magari un'idea carina che tanto non svilupperai mai più: perchè la prossima volta etc.

Poi oh, magari sono io che manco di disciplina e rigore compositivo, ma mi farebbe piacere sapere se c'è qualcun altro sulla mia stessa barca.
Magari con qualche idea per scenderne...


Note e links:
[1] Non era nemmeno difficilissimo: dopo aver comprato un paio tra chitarre, amplificatori e synth il negoziante cominciava a prenderti sul serio.

giovedì 7 novembre 2013

I miei Beatles

I Beatles: argomentino niente facile eh.
Io li ho affrontati di sguincio un paio di volte, qui e qui
Ma fare un post sui Beatles e sui loro dischi, non sono capace.
Perchè qui sì, è già stato detto tutto.

Invece, in qualità di "Bitolsiano di rito Maccartiano" posso parlare dei "miei" Beatles, perchè ho più di un ricordo legato a loro.
Il primo (ma è un ricordo di seconda mano, raccontato da nonni e genitori) è di un allelimo tre-enne ubriaco di musica dopo aver ballato fino allo sfinimento il 45giri di "She Loves You". Fossi stato nei miei genitori, da lì avrei fatto in modo di tenermi il più lontano possibile dalla musica negli anni successivi...

Il secondo, un aneddotto letto su un giornale tipo "Oggi", parecchi anni fa, nella sala d'aspetto di un dottore.

Casa McCartney, tardi anni '70.
Una delle figlie ha un fidanzatino, tipo sui 13/14 anni, che viene a prendere la McCartney figlia per andare a una festa.
Paul lo intrattiene mentre aspetta che la figlia sia pronta per uscire, e gli domanda, così per rompere il ghiaccio, cosa fa di bello a parte la scuola.
Il ragazzo, timidamente: "beh ho un gruppo, suono la chitarra con gli amici"
E Paul: "Forte! Anch'io avevo messo su un gruppo con gli amici quando avevo la vostra età"

Ecco, a me sta cosa qui mi sembra l'esempio perfetto dell'english understatement.

Il terzo, quando li ho scoperti davvero.
Musicalmente parlando intendo.
Perchè fino alla fine degli anni '80 li ho ignorati.
Per me erano quelli "yè yè yè".
Sapete: i capelloni, le ragazzine urlanti, il caschetto e le giacche "alla Beatles", il fenomento mediatico.
La prima boy band della storia, in fondo.

Insomma i Beatles erano "il gruppo rock" che conoscevano tutti.
Anche quelli che non si interessavano alla musica sapevano chi fossero.
Per dire, sia i miei genitori che tutti i genitori dei miei amici avevano in casa almeno un disco dei Beatles.
A casa mia c'era il 45 di She Loves You, il Doppio Bianco e una raccolta di successi, probabilmente un disco del Reader's Digest.
Li conoscevano tutti, e quindi in realtà non li conosceva nessuno, perchè era una consocenza superficiale, limitata agli aspetti mediatici e non musicali.
Perchè in realtà loro avevano registrato "Tomorrow Never Knows" nel 1966, che se uscisse oggi sarebbe ancora avanguardia rock.

Poi mi è capitato di ascoltare, non ricordo perchè, "The Magical Mystery Tour".
Dico: "Strawberry Fields", "Penny Lane" e "I'm The Walrus".
Più "The Fool on the Hill", "Hello Goodbye" e "All you need is Love".
Ecco, li ho ascoltati per la prima volta "da musicista" (indegno, inadeguato, etc.) e insomma, altro che yè yè.
Un gruppo della madonna, musicalmente parlando.

Da allora, Paul McCartney è diventato il mio Beatle preferito, perchè era lui il vero musicista, il vero genio dietro le registrazioni dei Beatles.
Certo, John Lennon genio ribelle, George Martin arrangiatore, tutto quello che volete.
Ma quello con le idee, quello che teneva insieme il gruppo era Paul.


Note e links:
[1] Per capire l'arte dei Beatles, due libri:

Mark Lewisohn - Otto anni ad Abbey Road (The complete Beatles recording)
Ian MacDonald - The Beatles: l'opera completa (Revolution in the Head)

Il primo affronta tutte le loro registrazioni in ordine cronolgico, il secondo affronta tutte le canzoni nello stesso ordine.
Più orientato all'aspetto tecnico di studio uno e più all'aspetto tecnico musicale l'altro, messi insieme fanno capire cosa voglia dire "creatività".
"Otto anni" è purtroppo tradotto un po' alla cazzo, con quasi tutti i termini tecnici e musicali resi in modo ridicolo da qualcuno che non sa di cosa stia parlando, ma ci si passa sopra.




lunedì 4 novembre 2013

Lou Reed

Ho trovato sul web, sul sito della stampa, uno dei mille articoli in cui si parla della morte di Lou Reed.
Però questo è scritto da uno che non solo lo conosceva, ma poteva definirsi un suo amico, Paolo Zaccagnini.
In questo articolo c'è un aspetto di Lou Reed che non conoscevo, e di cui mi sembra non si sia parlato affatto.

"Mi sono sempre domandato e interrogato sul perche' siamo diventati cosi' amici e una risposta me la sono data e anche tenuta.
Entrambi eravamo "hors du tropeau", fuori dal gruppo, come recitava il titolo di un giornale anarchico francese della fine dell'Ottocento.
Io anarchico e lui diventato cattolico grazie all'amicizia di padre Riches, che poi lo sposo' con l'amata Laurie Anderson.
Cattolico tanto da essere padrino di battesimo, a Napoli, del figlio di Davide DeBlasio, proprietario dell'antica e prestigosa pelleteria Tramontano alla Riviera Di Chiaia. Che amico."


Ecco, era uno anche così Lou Reed, di cui di solito si dice che:
(ora scusate, segue la fiera delle banalità, citazioni dai titoli delle sue canzoni comprese)
Passeggiva sul lato selvaggio, su strade sporche, tra alcool e droghe.
Era il cantore dell'oscurità, dei vizi, della trasgressione.
Che era ribelle, anticonformista, provocatorio.
Che era il cantore dell'eroina e delle drag queen di New York.

Ma era anche uno che è diventato cattolico, e ha fatto da padrino al battesimo del figlio di un amico.
Forse per lo stesso rincoglionimento senile che si rimprovera a Giovanni Lindo Ferretti, passato dal punk filosovietico al Meeting di CL.
Forse perchè quando senti che di tempo ne hai sempre meno a qualcosa devi aggrapparti, e anche se ti aggrappi a un sogno o a un'illusione, perchè dovremmo negare quel sogno?

O magari è coraggio.
Coraggio di andare controcorrente, di ammettere le proprie debolezze, di cercare aiuto in qualcosa di più grande.
Coraggio di trovare la felicità nell'amore, accanto a una compagna, Laurie Anderson, con cui si era sposato e che gli è stata accanto fino alla fine.
Una donna che di Lou ha scritto un elogio funebre di una bellezza assoluta.
Questo:
"Al nostro vicinato: che splendido autunno! Tutto splende, e risplende di luce soffice. L’acqua ci circonda.
Lou ed io abbiamo passato molto tempo qui negli ultimi anni e, anche se siamo gente di città, questa è la nostra casa spirituale.
La settimana scorsa ho promesso a Lou che lo avrei portato fuori dell’ospedale e l'avrei portato a casa, a Springs. E ce l’abbiamo fatta!
Lou era un maestro di tai chi e ha passato gli ultimi giorni qui, felice e affascinato dalla bellezza e dal potere e dalla dolcezza della natura.
E’ morto la domenica mattina guardando fuori dalla finestra gli alberi e facendo la famosa posizone numero 21 del tai chi con le sue mani da musicista che si muovevano nell’aria.
Lou era un principe e un combattente, e so che le sue canzoni sul dolore e sulla bellezza riempiranno molta gente dell’incredibile gioia che aveva per la vita.
Lunga vita alla bellezza che scende, attraversa e si impadronisce di tutti noi."



Note e links:
[1] Lo so che questo post non è rock, ed è ad alto rischio di fraintendimento.
Ne ho fatto un altro qualche tempo in cui non parlavo male a prescindere della chiesa e dei cattolici, come sembra si debba fare per essere rock.
Però ecco, se se ne fotteva Lou Reed, che aveva un'immagine un po' più prestigiosa della mia, cosa volete che me ne fotta a me...

mercoledì 30 ottobre 2013

A proposito di cover, tribute, etc.

Cover.
Se ne parlava ieri su facebook, è un argomento che mi ronza in testa da parecchio.
Sgombriamo subito il campo da possibili confusioni.
Non intendo parlare nè di cover-band nè di tribute-band.
Per me sono, entrambe, il simbolo la morte della musica per come la intendo io.

La cover-band è quella classica da birreria: nessuno li ascolta veramente, e loro suonicchiano i classici del rock-blues, fornendo uno sfondo alle bevute.
Li suonicchiano più o meno bene, più o meno fedelmente: ma è musica di sottofondo, non molto diversa dalla musica dei supermercati o degli ascensori.
Semplicemente, non mi interessa.

La tribute-band è il passo successivo verso il diabolico: sono gruppi dediti alla replica di un altro gruppo.
Non si limitano a risuonare le canzoni, cercano pure di impersonare il gruppo, imitandone costumi e pettinature.
Di solito hanno nomi tipo "Foxtrot" se clonano i Genesis, "Lizard King" se clonano i Doors o "Nebraska" se clonano il Boss, etc.
Ne esistono un'infinità.
Se esistono, qualcuno va a vederle.
Mi fermo qui, la mente si rifiuta di proseguire su questa strada.

Rimane invece la classica cover.
Cioè, tu gruppo che suona i suoi pezzi, ci piazzi dentro anche due o tre pezzi di un altro gruppo o artista, rifacendoli più o meno bene.
Ma - di solito e di massima - NON riproponendoli pari pari, ma più o meno in maniera personale.
Il risultato dipende naturalmente dalle capacità del gruppo, può essere ottimo o pessimo.
Ma non sono contrario a prescindere, anzi.

Ad esempio, quando cominci a suonare, o sei una completa testa di cazzo come me[1] e vuoi suonare le tue canzoni da subito, prima ancora di aver imparato a tenere in mano uno strumento, oppure cominci suonando le canzoni di qualcun altro.
Che fanno da palestra: impari come si costruisce una canzone.
Poi sta a te applicare la lezione, e lì viene il difficile, ma anche il bello.

Prima digressione: diffidate da chi fa dichiarazioni del tipo "ho cominciato a suonare perchè nessuno suonava la musica che volevo ascoltare, e allora ho deciso di suonarla io".
E' una cazzata.
D'effetto eh, se diventate famosi e rispondete così in un'intervista ci fate la vostra porca figura.
Ma nella mia esperienza è sempre il contrario: ti appassioni così tanto alla musica di qualcuno che a un certo punto hai la necessità di fare musica anche tu.
Di dire la tua, almeno.
Anche senza inventare nulla di stravolgente, vuoi essere parte di quello che sta succedendo.

Quindi la cover ha un senso: è un punto di partenza, dal quale sviluppare eventualmente una tua strada personale.
A questo livello le cover devono avere anche una certa semplicità tecnica, che le renda avvicinabili anche da te, "musicista" alle prime armi.
Rientrano nello stesso discorso anche tutte le cover non dichiarate che si suonano all'inizio, tutti quei pezzi "alla maniera di" che di solito nascono quando cerchi di scrivere le tue prime canzoni.
Poi ci sono gruppi che in questa maniera si costruiscono una carriera, ma è un altro discorso.

Nel frattempo hai imparato (bene o male) a suonare, hai messo insieme un repertorio di tue canzoni, e finalmente: devi suonare dal vivo.
Qui la cover torna di nuovo utilissima, per diversi motivi.

Uno: ti hanno chiesto di suonare un'ora, hai pezzi per quaranta minuti? Tre cover e allunghi il brodo quel tanto che basta visto che il repertorio è quantitativamente scarso.
Qualitativamente poi è scarso senz'altro, se no saresti a suonare da un'altra parte, sempre.

Due: visto che per il momento le tue canzoni le conoscono solo i tuoi amici (che hai costretto ad assistere allo spettacolo) e gli altri non sanno chi tu sia, glielo vuoi dare un aiutino?
Due/tre cover ben scelte e normalmente famose aiutano il pubblico a capire cosa stai facendo, da che parte vuoi andare.
Se suoni una canzone famosa in modo non banale gli fai capire che sei uno con le palle eh, ci hai pensato su e hai buttato lì un paio di idee anche nella cover dei Rolling Stones.

Certo, a meno che tu sia un bel po' più indiesnob della media.
Perchè in questo caso scegli di suonare le cover di alcune canzoni sconosciutissime, che piacciono a te e ad altre 15 persone nel mondo intero.
Di quelle 15, difficilmente ce n'è una al tuo concerto, quindi nessuno si accorge che stai facendo una cover...

Se invece sei molto coraggioso, prendi un pezzo molto famoso che non c'entra niente con quello che fai e lo stravolgi completamente. Tipo, suoni reggae e fai una cover di "Revolution" degli Spacemen 3 "Selling England by the Pound" dei Genesis.
[Ho corretto, "pezzo molto famoso" e "Revolution degli Spacemen 3" nello stesso paragrafo faceva abbastanza ridere. La prossima volta rileggo prima di pubblicare, non dopo...]
Come nel caso precedente, anche qui l'utilità per aiutare il pubblico è limitata, ma un buon annuncio può servire alla bisogna.

Ancora, se sei davvero bravo, prendi un pezzo famoso, lo suoni in modo che sia riconoscibile ma lo rendi tuo, completamente.
Mica facile eh, ma c'è chi riesce a farlo.

Seconda digressione: tutto questo ha un senso perchè la musica - semplifichiamo - "rock" è, come dicono gli americani, "performing art".
Cioè l'originale è la registrazione, e la resa dal vivo ha senso perchè fatta da chi il pezzo l'ha composto.
Non è musica classica, nè jazz.
Nella classica la "cover" è un concetto inesistente.
Nel jazz non si parla di cover, ma di interpretazione degli standards.
Nel rock, l'interpretazione degli standards mi sembra una forzatura che non porta da nessuna parte. I pezzi dei Pink Floyd suonati dal vivo dalla tribute-band del caso sono una cosa che a me sembra di cattivo gusto, senza senso.
(Oddio, anche gli originali suonati dai Pink Floyd, volendo, ma anche questo è un altro discorso...)


Note e links:
[1] Ma proprio ieri ho scoperto che nemmeno qui sono l'unico, mannaggia... ce ne sono altri!

domenica 27 ottobre 2013

Odio i coccodrilli

Odio i coccodrilli.
Però ecco: io ho suonato alcune cover ai tempi dei Mother of Loose.
"Yoo do Right" dei Can.
"Sister Ray", "Waiting for the Man", "All Tomorrow's Parties" dei Velvet Underground.
"Kill your Sons" di Lou Reed.

Quattro su cinque: se questo vuol dire qualcosa, dovrebbe dire chi era Lou Reed per me.
Mi mancherà.


Note e links:
Sul blog si è già parlato più volte dei Velvet Underground e di Lou Reed.

mercoledì 23 ottobre 2013

Cent co, cent crap; cent cü, dusent ciap

L'altro giorno ho partecipato a una discussione su Facebook a proposito di un gruppo degli anni '90, i Polvo.
Beh, non siamo nemmeno riusciti a concordare se si fossero ispirati o meno ai Sonic Youth.
Discussione educata e civile tra persone con una buona conoscenza dell'argomento, eh.
Ma una fazione sosteneva che i Polvo non fossero debitori per l'ispirazione sonora ai Sonic Youth, e l'altra, quorum ego, sosteneva che lo fossero eccome.

E mi viene da pensare: è bello parlare di musica, perchè ognuno può sostenere - in assoluta buona fede - qualsiasi posizione.
Perchè per lui quella posizione è giusta.
Se io ascoltando i Polvo sento dei riferimenti ai Sonic Youth e tu no, chi potrà mai stabilire chi ha ragione e chi torto?

E stavamo parlando di un gruppo che, bene o male, tutti ritenevano valido.
Per alcuni ottimo, per altri buono, ma nessuno stava sostenendo che fossero un gruppo del cazzo.

Figuratevi se avessimo discusso in particolare, magari partendo da posizioni opposte, se quel gruppo fosse stato valido oppure no.
Se non è possibile riuscire a mettersi facilmente d'accordo nemmeno sui riferimenti sonori di un gruppo, come possiamo riuscire a metterci d'accordo sul suo valore?

C'è una morale in tutto questo?
Secondo me, sì.
Che in arte l'oggettivo non esiste.
Ma non diciamolo troppo in giro, c'è gente che si offende.
(frase valida anche senza il "si")


Note e links:
[1] Per i non lombardofoni: "cento teste, cento modi di pensare; cento culi, duecento chiappe".
La parte significativa è quella dei co, quella dei cü è per far ridere.

[2] Dell'oggettività dell'arte, o meglio, del tentativo di definire criteri oggettivi per valutare un opera d'arte, se ne è già parlato diverse volte.
L'ultima volta in questo post, ma ogni tanto mi piace ritornarci sopra.
Metti mai che qualcuno, un giorno o l'altro, trovi una possibile soluzione.

[3] Oggettivo significa che nessuno può dimostrare il contrario: 2+2=4, questo è oggettivo.
I Sonic Youth (o i Pink Floyd o i Pooh) sono il miglior gruppo rock di sempre, no.

[4] Una delle frasi più divertenti che si possano leggere è "A mio parere è assolutamente oggettivo che...". C'è gente che la scrive seriamente.

lunedì 21 ottobre 2013

Lilith and the Sinnersaints - Stereo Blues vol.1: punk collection

Esce oggi “Stereo Blues Vol.1: Punk collection”, primo episodio di una serie di omaggi che Lilith and the Sinnersaints vogliono tributare alla radici del proprio sound.
I quattro brani contenuti in questo EP sono un personale tributo al PUNK di fine anni 70 che fu la prima colonna sonora delle giornate che l'allora 15enne Lilith spendeva tra il gruppo dei tempi, i Not Moving, e la scuola.
Brani come “See no evil” dei Television e (I’m) Stranded” dei Saints giravano sulle cassette che ci si scambiava alla scoperta del nuovo sound.
Poi venne l’hardcore punk e gruppi come Bad Brains (omaggiati con una versione blues del loro classico “Sailin on”) mentre i Clash cercavano nuove strade nella musica tradizionale come il blues, il reggae o il gospel (come in “The sound of the sinners” da “Sandinista”).
Lilith and the Sinnersaints in “Stereo Blues vol.1: Punk collection” volgono lo sguardo a quei tempi ma lo attualizzano attraverso una sensibilità moderna e il loro unico stile.

Il CD esce in una confezione in tiratura limitata in metal box reperibile presso Audioglobe, oppure ai concerti del gruppo o tramite il sito di Lilith and the Sinnersaints.
Siamo anche su Facebook.

Un breve teaser video di presentazione lo trovate qui.
Sempre attraverso il sito del gruppo (e ai concerti) è disponibile la maglietta della band.

Le prime date promozionali:

Venerdì 1 novembre : Brescia “Lio Bar”
Sabato 2 novembre : Cigognola (Pv) "Circolo Vallescuropasso"
Sabato 9 novembre : Pisa “Newroz”
Sabato 16 novembre : Cremona “ArciPelago”
Sabato 30 novembre : Aosta “Espace”
Sabato 14 dicembre : Bologna “Joe Strummer Tribute”
Sabato 21 dicembre : Verbania “Loggia del Leopardo”


Note e links:
Post copiato pari pari dal blog di Tony Face, senza nemmeno aver chiesto il permesso.
Andate e comprate, che ne vale la pena, per una volta a prescindere.
Poi appena mi arriva il cd lo ascolto e ne riparlo!

venerdì 18 ottobre 2013

Rap in italiano?

Dunque.
I miei due figli piccoli (piccoli, insomma: 12 e 13 anni ormai, ma per me sono sempre "i piccoli") ascoltano molta musica, altro che "i giovani non ci piace più la musica".
Con i telefonini di solito, o tramite Youtube, certo.
E ascoltano il rap.
Quello italiano, quello di solito citato come esempio di banalità inascoltabile: Emis Killa, Fedez, Marracash, Fabri Fibra, Club Dogo, etc.

Che a me non piace, eh.
Non lo capisco, non ci trovo niente di stimolante.

Però.
A loro piace, e molto.
Ci si ritrovano, in quello che quei rapper lì dicono.
E certo, quelli lì sono artisti "commerciali", mica artisti "seri".
Quelli che non è mica musica questa, dai!
Quelli che questi qui non hanno nessun talento, tra sei mesi nessuno si ricorderà di loro.

A me continua a non piacere, però mi viene da pensare...
Ad esempio, a quello che dicevano i cinquantenni degli anni '50 a proposito di Elvis Presley.
A quello che dicevano i cinquantenni degli anni '60 a proposito dei Beatles.
A quello che dicevano i cinquantenni degli anni '70 a proposito dei Sex Pistols.
A quello che dicevano etc. etc.
Dicevano esattamente le stesse cose.

E allora, un po' sono contento che a me non piacciano, e ai miei figli invece sì.


Note e links:
[1] Il post nasce dall'aver appena letto su Facebook il solito cinquantenne, residuato vinilitico, che si domanda "ma chi caspita mi è 'sto Emis Killa?!"
Beh, c'è Google, invece di scrivere "ma chi è" scrivi il nome lì e lo scopri...

martedì 8 ottobre 2013

Jesus and Mary Chain - 30th Anniversary Vinyl Collection

Eccola qui la nuova frontiera!
Ogni settimana riusciamo a spostare il tutto un passettino più in là.
Oggi con i Jesus and Mary Chain (o chi per loro), che si inventano la ristampa per la prima volta in vinile di cose già edite su cd.

Fantastico, no?
La storia che cammina all'indietro, nientemeno.

Non solo si ristampano su vinile i dischi originariamente usciti così, che in fondo in fondo ci sta anche.
Si stampano su vinile dischi originariamente mai usciti così, cioè registrazioni fatte per il 99% direttamente in digitale.

Ma la ristampa serve a conferire loro la magia dello scricchiolio che aumenta ascolto dopo ascolto, la dinamica limitata e le dimensioni della copertina, dandogli nel contempo un'aurea di verginità musicale primigenia, quella dei dischi che uscivano solo in vinile nei bei tempi che furono, quando noi si aveva ancora vent'anni...
(come sarebbe a dire che il cd non era ancora stato inventato? che scusa puerile...)

E quindi, per la prima in vinile!
La ristampa di due trascurabili concerti dal vivo del 1992 e del 1995, più tutte ma tutte le Peel Sessions, già uscite complete ma solo in cd, disdetta.

Dove metteremo l'asticella la settimana prossima?
Sono ansioso di scoprirlo...


Note e links:
Lo trovate qui, al miserrimo prezzo di 159 eurini.
Naturalmente, ma non c'è bisogno di dirlo, insieme con i soliti ricchi premi e cotillons: libretto fotografico, memorabilia e puttanate varie, scarti di registrazione, etc.
Ma in edizione "numerata e limitata", che così chi se la accaparra può pure immaginare di avere in mano un oggetto che aumenterà di valore nel tempo...

lunedì 7 ottobre 2013

Giornalisti

Dunque.
Aggiornamenti dal mondo dei "giornalisti musicali italiani".
Quelli che si tirano adosso palate di merda l'un l'altro, ma se ti permetti di criticarli in un blog è solo perchè sei invidioso e vorresti essere al loro posto.
Io, col mio solito fare incredibilmente offensivo, noto che le palate di merda continuano a essere tirate sul web.[1]

Penultima palata, ma era fuori a mezzo, l'ennesimo copiaincolla dell'ex direttore del Mucchio, che per la sua nuova rivista ruba le interviste dai blog.
Una figura pietosa, giustificata col fatto che "chi risponde alle interviste dice sempre le stesse cose", mica ha copiato niente lui.
I dettagli qui, giudicate da soli.
(Io naturalmente ne parlo male perchè sono invidioso, eh. Solo gli altri critici musicali ufficiali possono farlo per onestà intellettuale e non per invidia. Anche se lo fa solo chi collo Stefani Max ci ha litigato, quelli che lavorano con lui a "Outsider" non dicono nulla, fedeli al motto "cane non mangia cane")

Ultima palata, l'avvertimento di stampo mafioso fatto dall'ex caporedattore/direttore del Mucchio Extra, ex amico dello Stefani Max, attuale incriticabile critico musicale Guglielmi Federico, a chi volesse eventualmente collaborare alla nuova "iniziativa editoriale" degli attuali capobastone del Mucchio Selvaggio.
Che, criticabili fin che volete (ma non da noi "gente comune", eh! Solo dai giornalisti musciali ufficiali!) riprendono in mano il progetto del "Mucchio Extra", già inventato e diretto o redatto (mai letto una copia) dal Guglielmi.
Che si incazza di brutto e avvisa:
"Se pensano di farlo diversamente da come lo facevo io solo per non (finire di) perdere la faccia con gli abbonati, è un errore: la massima parte degli abbonati voleva quel giornale lì con quelle firme lì, e dubito che sarebbe soddisfatta da un surrogato. Se pensano di farlo come lo facevo io... beh, auguri... non troveranno mai uno staff all'altezza di quello da me guidato perché semplicemente non esiste, nessuno dei pochi collaboratori più o meno storici rimasti al mensile è disposto a muovere un dito, molti eventuali esterni si troveranno in difficoltà perché tutti sanno benissimo che, appoggiando questo ennesimo scempio, sarebbero automaticamente iscritti nel mio personale libro nero. Senza contare che il progetto, essendo precario come tutta la baracca dell'editoria musicale italiana, potrebbe morire dopo un solo numero... e allora, perché rischiare di far parte di una cosa brutta, di non essere pagati e di diventare miei "nemici" in eterno - precludendosi eventuali future collaborazioni con me - per qualcosa che non ha alcuna credibilità e presumibilmente non ha futuro?"

Io, nel leggere una cosa del genere, trasecolo.
Alla stampa musicale italiana nel suo complesso sono rimaste grosso modo 28.000 copie vendute al mese, e i suoi principali esponenti scrivono cose del genere?
Senza vergognarsi?
E se io lo faccio notare è solo per invidia?
Sono io che "scredito il loro lavoro" con quello che scrivo?

La pianto qui, che se no rischio davvero di passare il segno.


Note e links:
[1] Riassunto breve: Gli ex-mucchiselvatici, stufi di non essere pagati, un tre anni fa hanno fatto fuori Stefani Max.
Poi si sono accorti di essere passati dalla padella alla brace con la nuova direttora, tale Federico Daniela, che a seguire ha fatto fuori buona parte di loro, pagandoli (sembra) ancora meno. (E sui finanziamenti pubblici rubati nel frattempo, sorvoliamo che se n'è già parlato abbondantemente)
Da un annetto abbondante gli ex-mucchiselvatici ex-Stefani ex-Federico fanno la guerra con gli attuali sodali di Stefani e di Federico, che a loro volta si fanno la guerra tra di loro.
Vola merda ovunque, ma sembra che tra di loro si possa fare.
L'importante è non intervenire: tutti i non giornalisti musicali ex-mucchi selvatici, quorum ego, sono solo gente invidiosa.
Bisognerebbe proibire il web e i blog, accidenti: troppi dilettanti credono sia lecito esprimere la loro opinione.
Probabilmente ci stanno lavorando: speriamo che il parlare di musica torni in mano solo a loro, i "professionisti"...

mercoledì 2 ottobre 2013

The Velvet Underground - White Light/White Heat Mega Super De Luxe Expanded Anniversary Edition

Sui Velvet ho già dato con la ristampa Super De Luxe di VU&N.
L'ho scar... ahem, comprato, ascoltato due volte le Scepter Session e una il live incluso.

Adesso è il turno di WL-WH.
Che poi è bello, eh: c'è Sister Ray, cioè il noise in forma di canzone etc.
Però il primo disco dei Velvet è IL MIO disco rock, questo è solo un ottimo disco: sull'isola deserta non ce lo porterei.

Così, la Mega Expanded Super De Luxe, la scar... ahem, comprerò, come al solito, ma dubito arrivi a totalizzare gli stessi, già scarsissimi, ascolti di VU&N.

Qui ci starebbe il pistolotto su bollette da pagare, marketing e presa per il culo degli anziani fan di musica rock, ma è rintracciabile grosso modo in ogni puntata della serie "De Luxe", quindi evito.


Note e links:
Articolo in italiano su Rockol, il prezioso manufatto è già preordinabile su Amazon a 97 dollari circa, praticamente te lo tirano dietro.
Da notare, per i maniaci delle "dimensioni", che la confezione e il libretto sono di dimensioni quasi doppie rispetto ai CD contenuti.

venerdì 27 settembre 2013

Can box set. 17 vinili e materiale fotografico inedito

Ottime notizie per i fan dei Can.[1]
Dopo la pubblicazione dei carbonari Lost Tapes, sia in edizione in triplo cd che in quintuplo vinile, l’etichetta Mute ha annunciato l’uscita del catalogo rimasterizzato della band, che conterrà 17 vinili da 180 g. racchiusi in una scatola di lino.

La release degli LP è attesa per il prossimo 3 dicembre. Ci saranno i 13 classici del gruppo, assieme ad Out Of Reach, fuori catalogo dal 1978, e Can Live, album dal vivo registrato con la line up storica, formata da Holger Czukay (basso), Michael Karoli (chitarra), Jaki Liebezeit (batteria) e Irmin Schmidt (tastiere). Inoltre, gli artwork di copertina verranno riprodotti nella forma originale, e ci saranno anche cinque poster e un booklet di 20 pagine in formato 12”, con fotografie inedite e note scritte da Alan Warner.

Can Vinyl Box:

Monster Movie
Soundtracks
Tago Mago (2LP)
Ege Bamyasi
Future Days
Soon Over Babaluma
Delay
Unlimited Edition (2LP)
Landed
Flow Motion
Saw Delight


Note e links:
[1] Non ho scritto una parola di questo post, è tutto tratto, senza permesso, da Sentireascoltare.
Ho solo evidenziato in grassetto sei parole.
La scatola di lino.
Ohibò.
Prossimamente mi aspetto: una giacca di cartone, gli spaghetti di acciaio, l'automobile di gommapane e i dischi di vinile.
Ah no, scusate: gli ultimi, sembra esistano già.

giovedì 19 settembre 2013

Yo La Tengo - Fade (Deluxe Edition)

Evvabbè, ma cazzo, ma proprio gli Yo La Tengo dovevano spostare il confine delle "De Luxe Edition" un altro poco più in là?
Non per il trentesimo, non per il venticinquesimo, nè per il ventesimo nè per il decimo o il quinto anniversario.
E nemmeno in contemporanea con l'uscita per la prima volta del disco.

Tutte robe già fatte, pfui.

Ecco il nuovo limite: il quasi primo anniversario del disco.
"Fade" è uscito a gennaio 2013, ora per il 19 novembre 2013 è prevista la deluxe edition, con il consueto contorno di inediti, demo, cover e versioni live (sintetico: "scarti") pubblicati sul secondo cd.
Alcuni dei quali brani (siamo moderni, suvvia) disponibili solo come download aggiuntivi all'acquisto della deluxe edition.

Cioè, aspettiamo una decina di mesi che ormai chi voleva comprarsi il disco se l'è già preso, e i fan più accaniti, che se avessimo pubblicato le due versioni insieme si sarebbero comprati direttamente la deluxe, adesso saranno "costretti" a ricomprarsi anche la nuova versione.

C'è indubbiamente del genio commerciale dietro a tutto ciò, eh.
Però dagli Yo La Tengo una cosa così non me la sarei mai aspettata.
Da tutti gli altri, magari, ma non da loro.
Uno dei pochi gruppi autoironici del rock indipendente.
Uno dei pochi gruppi che ho sempre stimato incondizionatamente per la coerenza se non per la qualità dei loro dischi, comunque costantemente al di sopra della media.

Poi si può capire, il tempo passa per tutti, due lire in più mica ti fanno schifo.
Ma gli Yo La Tengo, ecco: mi sembravano diversi.
Delusione dell'anno.

Il nuovo "Sentireascoltare"

"Sentireascoltare" è forse il migliore sito web che parla di musica, da diversi anni.
Senz'altro quello che io preferisco, sia per quello di cui parla sia per come ne parla.
Da qualche giorno il sito è stato profondamente rinnovato nella struttura.
Graficamente gradevole, ma lo era già prima.
Però.

Io lo leggo spesso in ufficio.
E in ufficio non ho esattamente l'ultimo modello di computer, eh.
Nemmeno il penultimo, a dire il vero.
Ho tre onesti cassoni di cinque o sei anni fa, Pentium 4 con 512 Mb di Ram, che per il lavoro di ufficio vanno benissimo.

La versione precedente di Sentireascoltare era velocissima e perfettamente leggibile anche con i tre cassoni.
Adesso, cavoli: no.
E' diventato lento e pesante, ci mette alcuni minuti ad aprire le pagine, e se ne apro più di una mi manda in blocco il computer.

Per una volta, mi accodo ai crociati del "Meglio Prima".
E quindi sì: "Sentireascoltare", meglio prima.
Che almeno riuscivo a leggerlo...


Note e links:
Ad esempio: l'immagine qui sopra del logo di "Sentireascoltare" è significativa.
E' un png trasparente: sul sito è bellissimo, perchè lo sfondo è grigio scuro; qui fa schifo perchè lo sfondo è bianco.
Ma è un indice: un'immagine trasparente ci mette più tempo a essere caricata ed elaborata, rallentando i poveri vecchi cassoni del mio ufficio.
Tutto il nuovo sito funziona così.
Purtroppo.

venerdì 13 settembre 2013

Seashell Records - Pluviôse

Seashell Records è il nuovo progetto di etichetta cassettografica di Claudio Cataldi, musicista palermitano con all'attivo due ep per la - purtroppo defunta - Woolshop Productions e Federico Ghersi.
Esordisce in questi giorni con la prima release, la compilation "Pluviôse".

Che ha un sacco di pregi: ad esempio, ci sono pochi pezzi - nove - per una durata che è grosso modo quella di un Lp di una volta.
Di conseguenza è impossibile annoiarsi durante l'ascolto, come - siamo sinceri - capita nel 99% delle compilation, soprattutto quelle con venti/trenta pezzi di altrettanti gruppi diversi.

I gruppi partecipanti spaziano dall'Italia al Giappone, dalla Polonia agli Stati Uniti, con una bella varietà di zone d'origine che dimostra, una volta di più, quanto sia ormai ininfluente il luogo geografico in cui nasci rispetto alla musica che produci.

La compliation è disponibile in download digitale da Bandcamp, dove è anche possibile ascoltarla in streaming, al prezzo più che accessibile di 5 euro, compresa la spedizione della copia fisica (ci torno tra un momento)

Ma, soprattutto: la musica contenuta è bella, ed è esattamente quella che mi interessa ascoltare in questo momento.

Oltre al sempre ottimo Giampiero Riggio (qui con harmonium e cello, peccato per la voce registrata non benissimo) mi piacciono particolarmente i brani di Chewing Magnetic Tape (tra wave elettronica e krautrock), di Lipan (parte con una chitarra che mi ricorda gli Husker Du di "Too Far Down", poi l'uso della voce mi rimanda a uno dei gruppi italiani più amati da me, i Leanan Sidhe), di In Every Dream A Nightmare Waits (impressionante la somiglianza con la voce di Brendan Perry e con il suo folk medieval/apocalittico).
E soprattutto, Novanta, una rivelazione: un pezzo che parte da un arpeggio di chitarra e arriva a un pieno strumentale postqualcosa mybloodyvalentineggiante.

Non tutto è positivo, eh: la cosa della pubblicazione su cassetta, ne abbiamo già ampiamente parlato nel post dedicato al Cassette Store Day, anche attraverso i commenti lasciati da Claudio.

Anche se, visto che la cassetta è inclusa nel prezzo del download (o il contrario) la spesa è più che affrontabile, e in fin dei conti le considerazioni negative sul formato erano dedicate in particolare alle edizioni solo su cassetta.
Qui c'è la doppia versione, fisica e digitale, e allora va bene così.
In sintesi: esordio ottimo e ampiamente consigliato a chi si interessa di "suoni altri".


Note e links:
Seashell records
Facebook
Bandcamp

mercoledì 11 settembre 2013

Troppi dischi?

Argomento annunciato nei commenti al post precedente sul "Cassette Store Day", lo spunto nasce dalla conversazione con Claudio della Seashell Records.
Sul web leggo sempre più spesso due lamentele, che provo a riassumere genericamente così:

Lamentela 1
Ai giovani di oggi la musica non interessa più.
Invece di comprare dischi (come facevamo noi negli anni 60/70/80/90, a seconda dell'età del lamentante) spendono i loro soldi in altre cose: computer, telefonini, videogiochi, internet.
La musica non la ascolta più nessuno.


Lamentela 2
Al giorno d'oggi escono troppi dischi: colpa del web, che ha reso possibile a tutti pubblicare la propria musica con investimenti minimi o nulli (mica come quando eravamo giovani noi che invece ci voleva un produttore e una casa discografica e solo i migliori etc.)
E così esistono troppe produzioni, e nessuno è più in grado di ascoltare tutto.


Ora.
Anche senza parlare del fatto che, per quanto mi riguarda, è sicuramente meglio avere più dischi che meno dischi, a prescindere.
Se poi ce ne sono di più brutti, pace: basta scegliere. E poter scegliere mi sembra sempre meglio del contrario.

A me le due cose sembrano altamente contradditorie.
A meno che la sovrabbondante messe di produzioni sul web sia prodotta esclusivamente da pochissimi musicisti ultra-quarantenni estremamente prolifici (ma mi sembra molto poco credibile) vuol dire che gente che fa musica ce n'è ancora, e molta.
Probabilmente, di tutte le età...

Poi possiamo discutere se sono cambiate le modalità con cui ci si rapporta alla musica.
Anche se a me sembra di no: non è che quando io avevo 15 anni tutti ascoltavano i Clash, anzi.
Nella mia classe del liceo, eravamo in 35 e i Clash li ascoltavamo in due, altri tre o quattro ascoltavano Genesis e Pink Floyd, agli altri 30 della musica non fregava un beneamato cazzo.

Certo, oggi la musica si vende quasi più.
Ed è anche vero che l'abbondanza di prodotti disponibili non si può vedere in modo univoco: per un ascoltatore è una cosa positiva, per un produttore un po' meno.
Ma si chiama mercato, che ci volete fare.
Lo stesso che ha reso stramiliardari gruppi e discografici nel secolo scorso, e che adesso è cambiato.

Però mi sembra che la musica ci sia ancora, che venga suonata e ascoltata grosso modo sempre dalla stessa percentuale di persone.
In maniera diversa, va bene: con i telefonini invece che con lo stereo.
E la musica che ascoltano i ragazzi non è la stessa che ascoltavamo noi, certo che sì.
Ma sarebbe strano il contrario.

venerdì 6 settembre 2013

Cassette Store Day

Fantastico.
Dopo il "Record Store Day", il "Cassette Store Day".

Esiste, davvero: è per domani, 7 settembre 2013.
Con la collaterale serie di nuove produzioni appositamente realizzate per.[1]
Ho trovato il link su Facebook, come pure il link a questo fantastico articolo tratto da "Elle".

Che, per chi non lo sapesse, è un giornale di moda.
Ecco, giusto lì si può scrivere "...la manifestazione che vede celebrata la musicassetta, supporto d’eccellenza per tutti i musicofili degli anni ’80 e ’90."
Supporto d'eccellenza?
La musicassetta?
Chi c'era e ascoltava musica non può che mettersi a ridere...

Subito dopo, la solita stronzata sulla dimensione fisica della musica: "Un’iniziativa "nostalgica" (che cavalca il trend vintage), ma che allo stesso tempo - secondo noi - cerca di riportare la musica in una dimensione tangibile: una musica da "toccare", fatta di supporti materiali che rimangono, così come lo sono i cd, i vinili e così come non lo sono gli MP3."
La musica da toccare, come no.
Manca solo il paragrafo sulla dimensione della copertina, forse perchè le copertine delle cassette erano più piccole di quelle dei cd?

Le cassette hanno un indice di figosità snobbistica hipster retrò assolutamente imbattibile, e infatti il primo articolo da me trovato che ne parla è tratto da una rivista di moda.
E lì è giusto che rimanga 'sta roba qui: è moda, non musica.

Avevamo già parlato, un anno fa circa, delle produzioni solo su cassetta.
Continuo a pensare che, "...se io compro della musica, mi piacerebbe poi poterla ascoltare senza dovermi comprare un nuovo (vecchio) mezzo di riproduzione sonora a seconda del grado di indie-snobbità di chi l'ha prodotta."


Note e links:
[1] Dopo il per, completare a piacere.
Ad esempio, "celebrare la festosa ricorrenza", oppure "fare un regalo agli appassionati che parteciperanno alla giornata".
Per quanto mi riguarda, metterei "raccattare gli ultimi euro dai fessi che ci cascheranno".

mercoledì 4 settembre 2013

Dischi prova

A proposito dei dischi audiofili in edizione masterizzata MFSL al 50% della velocità su vinile vergine da mezzo chilo.
Magari di stampa giapponese, che non si sa bene per quale ragione dovevano suonare senz'altro meglio degli altri.
Nel post precedente ho citato tre titoli che esaurivano il parco "software" degli appassionati di "hardware" dell'epoca.
Cioè quelli che non avevano problemi di budget per i dischi: per ascoltare l'impianto hi-fi tre/quattro dischi erano più che sufficenti.
Ne vogliamo parlare più a fondo?

1 - Pink Floyd - The Dark Side of the Moon
Perchè c'erano gli "effetti".
I registratori di cassa, le sveglie, le risate.
Ma, soprattutto:
a - il battito del cuore;
b - i passi che andavano dal canale destro al canale sinistro (o viceversa, non ricordo e non ho voglia di controllare)
Con il primo, facevi sentire agli amici la potenza dei bassi delle tue casse:
"Che storia, è un cuore che batte! Senti che bassi!"
Con i secondi, li facevi meravigliare della fedeltà di riproduzione della "realtà" del tuo impianto:
"Oh ma sembra vero eh, i passi vanno da destra a sinistra! Incredibile, sembra di essere lì!"

Tra un effetto e l'altro c'era anche della musica, piuttosto fastidiosa per l'audiofilo medio: troppo strana.
Ma era sufficiente spostare la testina a mano sui solchi contenenti i magnifici effetti per evitare di doverla sentire.


2 - Mike Oldfield - Tubular Bells
Questo era ottimo per far sentire la fedeltà di riproduzione dell'impianto rispetto a un particolare strumento.
Si usava all'uopo la parte in cui il buon Mike enunciava lo strumento che, subito dopo, avrebbe suonato il tema della composizione, evitando così l'impervio compito di doverlo riconoscere da soli.
La musica inserita prima e dopo l'elenco, che finiva con il trionfale annuncio delle maledette campane tubolari, nessuno l'ha mai ascoltata.


3 - Alan Parsons Project - Un disco a caso
Perchè Alan Parson era il mitico "produttore" di "Dark Side of the Moon", disco feticcio degli audiofili (vedi punto 1).
(Certo, in realtà era il "sound engineer", cioè il tecnico del suono, ma all'epoca nessuno sapeva esattamente quale fosse la differenza)
Quindi il disco suonava bene per definizione, e a differenza di quello dei Pink Floyd lo potevi sentire anche in discoteca, e quindi suonava un po' meno strano anche per l'audiofilo medio.


Questi erano i dischi standard irrinunciabili.
Alcuni malati di mente possedevano anche un disco a caso di musica classica della Deutsche Grammophone, che - anche solo per la rigorosità della grafica di copertina - dava l'idea di essere un prodotto serio e ottimamente registrato.
Poi in realtà a nessuno piaceva la musica classica, ma per testare la riproduzione dei pieni e dei pianissimi un disco con un'orchestra ci voleva.
Più avanti gli stessi malati di mente di cui sopra si sarebbero procurati anche un disco di jazz virato classica (o di classica virata jazz), che non poteva che essere "The Koln Concert" di Keith Jarrett.
Sull'ascoltare un disco dal vivo come esempio di perfezione sonora, evito di commentare.

Gli incurabili si compravano pure un disco di "Sound effects", cioè di effetti sonori NON musicali.
Queste persone non hanno fatto in tempo però a vedere l'avvento del cd: sono stati internati prima del 1982.
Gli audiofili in libertà dopo il 1982 avevano invece l'ulteriore immancabile disco (questa volta in cd) per ascoltare l'impianto: "The Nightfly" di Donald Fagen.
Primo disco registrato completamente in digitale, quando "digitale" non era ancora una parolaccia, veniva usato per dimostrare la superiorità del digitale rispetto all'analogico.
In seguito prontamente rinnegato con la riscoperta delle superiorità dei vinili analogici rispetto al digitale...

lunedì 2 settembre 2013

Condividere la musica prima dell'era digitale

Ovvero, non è che la condivisione della musica sia nata con il web o con gli mp3.
Anzi.
C'è sempre stata.
Anche nei mitici anni '60/'70/'80.

C'erano le cassette, e c'erano gli amici con cui formavi dei gruppi d'acquisto informali.
Tu compravi i Genesis, un altro i Pink Flyod e un terzo i Queen, e poi ci si scambiavano i dischi e si facevano le cassette.
"Home taping is killing music" avvisava la lungimirante industria musicale, e intanto inventava i cd, senza i quali non sarebbero mai esistiti gli mp3... realizzando il più clamoroso caso di "zappa sui piedi" del mondo occidentale fino alla fondazione del PD.
Ma lo scambio funzionava solo fino a un certo punto.
C'erano gruppi e dischi che piacevano solo a te, e non avresti potuto registrarli da nessun amico...

Ma per fortuna c'erano i negozi di dischi[1] usati.
Sui dischi usati, la mia posizione è semplicissima: dal 1980 circa a pochi anni fa, ho sempre comprato solo dischi usati.
Dischi nuovi, pochissimi.
Di solito in casi eccezionali, quando dopo qualche mese il disco usato non si trovava proprio e dovevi assolutamente ascoltare quel disco, che ti avrebbe sicuramente cambiato la vita.

In tutti gli altri casi, ho sempre preferito aspettare qualche settimana in più e comprare due dischi usati invece di uno nuovo, e il fatto di aver prima studiato e poi lavorato a Milano mi ha sicuramente aiutato: avevo a disposizione una scelta davvero vasta di negozi di dischi usati.

Perchè quello che importava allora era conoscere: riuscire ad ascoltare quanti più gruppi e dischi possibili, compatibilmente con le scarse risorse finanziarie di cui si disponeva all'epoca.
Era la curiosità che ti portava a voler conoscere tutto, e l'unico modo di farlo era rivolgersi al mercato dell'usato.

Certo: oggi siamo abituati a sentire un disco qualche settimana prima dell'uscita ufficiale.
Allora si ascoltava tutto con qualche mese di ritardo rispetto all'uscita in Inghilterra o in Usa: perchè noi ascoltavamo i famigerati dischi "import", quelli che in Italia non venivano stampati ufficialmente.
Così, un disco usciva in Inghilterra, un paio di mesi dopo arrivava in Italia, e dopo un altro paio di mesi c'era la recensione sul numero in edicola di Rockerilla o del Mucchio.
Aspettare un mese in più per poter comprare il disco usato non era davvero un grosso problema, anzi: a volte trovavi dischi usati di cui non era ancora uscita la recensione sulle riviste italiane.

E poi, i dischi usati si potevano rivendere.
Li compravi grosso modo al 50% del prezzo del nuovo, e li rivendevi al 50% di quanto li avevi pagati.
Con 10.000 lire compravi dischi che avresti pagato 20.000 lire da nuovi, e potevi poi rivenderli a 5.000 lire.
Quindi, aggiungendo solo 5.000 lire potevi ricomprare dischi per un valore di 20.000 lire, che poi rivendevi etc.
Bastava non affezionarsi troppo ai pezzi di plastica e tenere in casa solo quelli che ne valevano davvero la pena.
Tutte le cose così così, quelle che adesso ingombrano cartelle sperdute sugli hard-disk, una volta venivano ascoltate, poi, se del caso, si registrava una cassetta, e venivano rivendute.

Perchè era molto più importante conoscere musica nuova che collezionare vecchi supporti fonografici.


Note e links:
[1] Per "dischi" qui si intende sia disco in vinile che compact disc. Per quanto mi riguarda il discorso è assolutamente identico per entrambi i supporti.
Una volta si compravano gli Lp perchè c'erano solo quelli, poi perchè costavano meno dei cd, poi si compravano i cd perchè costavano meno degli lp.
I discorsi sull'odore del vinile e sulle sue dimensioni qui non c'entrano nulla.

[2] Discorso del tutto simile per i dischi "bucati", in edizione economica o in offerta: ho sempre comprato il supporto fonografico meno costoso che riuscivo a trovare.

[3] Il collezionismo di dischi, l'ho già detto più volte, non mi ha mai interessato. Il collezionismo di musica, quello sì. A prescindere dal pezzo di plastica.
Poi certo, ho anch'io il mio bel "Siberia" dei Diaframma in vinile trasparente, o "Compagni Cittadini..." dei CCCP in picture disk. Ma solo perchè l'uscita originale era fatta così.

martedì 20 agosto 2013

Crate surfing - remix

Vacanze finite, riprendo da dove mi ero fermato due settimane fa: ricordi sparsi di crate surfing.

- quando quello davanti a voi era lentissimo, tipo che ci metteva trenta secondi per ogni disco invece di due.
Perchè due secondi era la velocità media accettata per il buon surfer: occhiata generica alla copertina, decisione al volo (non mi interessa)
Ammessa la pausa intorno ai trenta secondi per approfondire un disco passibile di essere comprato, con prelievo e spostamento all'inizio dello scaffale, insieme agli altri candidati all'acquisto.

- quando quello davanti faceva la cosa detta qui sopra con quel cazzo di disco che tu non avevi e ti avrebbe cambiato la vita se.
E allora cercavi di influenzarlo mentalmente, pensando fortissimo "mettilo giù, non è bello, mettilo giù, bastardo!"
Che una volta ha pure funzionato, e il tipo ha messo giù il cd di "Chorus" dei Flying Saucer Attack, l'ho comprato io e mi ha cambiato la vita.
Vabbè no, ma almeno i quaranta minuti dedicati all'ascolto, sì.

- quando quello davanti (vedi caso precedente), invece di metterlo giù, il disco lo "nascondeva", mettendolo ad esempio nello scaffale di una lettera diversa...
Ma tu l'avevi seguito in giro per il negozio, e allora alla lettera "T", nascosto sul fondo, ultimi dieci dischi, c'era, per dire, "Rid of Me" di PJ Harvey, così nuovo che era uscito da meno di una settimana e tu non l'avevi ancora visto nemmeno nei negozi del nuovo.
E anche di questo non potevi assolutamente fare a meno. Almeno per quei quaranta minuti etc.

- quando finalmente riuscivi (dopo aver speso in dischi decine di stipendi) a entrare nel giro delle conoscenze (non dico amicizie, quelle erano un'altra cosa) del negoziante, che non solo ti salutava, ma addiritura arrivava a tenerti da parte quei due dischi che oggi non ciò abbastanza soldi, torno settimana prossima e li prendo.

- quando arrivavi al top della conoscenza col negoziante, che ti ammetteva al giro ristretto di quelli che potevano dare un'occhiata ai dischi non ancora esposti, compresi magari quelli messi da parte per gli amici, dischi in cui i comuni mortali non avrebbero mai avuto il piacere di imbattersi durante il crate surfing.

- quando, molto tempo prima, diciamo verso i sedici anni, avevi messo in piedi con alcuni amici un sistema infallibile per distrarre il negoziante, e al prezzo di un lp ne portavate fuori dal negozio quattro o cinque alla volta, nascosti tra zaini e sacchetti.
E non vi hanno mai beccato eh, che a ripensaci adesso vi vengono i brividi di terrore...

- quando (e qui mi ripeto, ne avevo già scritto nei commenti al post precedente) sognavi di notte (ma non per modo di dire, lo sognavi sul serio) di essere nel tuo negozio di dischi usati "ideale".
Che era un misto di quelli che frequentavi regolarmente, solo più grande, più bello, più fornito e con prezzi migliori.
E trovavi tutti quei dischi di cui avevi solo letto su Rockerilla o sul Mucchio, e potevi pure comprarli perchè costavano pochissimo e per qualche sconosciuta ragione tu eri ricchissimo.
E li compravi, tutti: il 45 introvabile e il bootleg del concerto che non eri riuscito a vedere e il nuovo lp in edizione limitata del più grande gruppo della storia del rock.
Poi ti svegliavi, e per qualche minuto ti rimaneva adosso un acuta sensazione di perdita: perchè quei dischi lì, che avevi comprato e te li eri rigirati tra le mani, aspettando solo di arrivare a casa per metterli sullo stereo e finalmente ascoltarli, non erano mica veri.
E il negozio in cui li avevi comprati non esisteva, e tu non eri mica ricchissimo.
E pensa un po' che inconscio del cazzo che avevo, invece di farmi sognare di trombare con fighe stratosferiche e girare in Ferrari, mi faceva sognare di comprare dischi in un negozio dell'usato...




martedì 30 luglio 2013

Crate surfing

Oggi sono passato da Metropolis.[1]
Cerco di passare in un negozio di dischi almeno una volta all'anno, così, per non perdere completamente l'abitudine.
Ogni volta che l'ho fatto, anche in questi ultimi anni, ho sempre trovato uno o due cd che valeva la pena di comprare.

Che poi, volete mettere il piacere di cercare, di fare surf nei contenitori (crate surfing, per una volta in inglese rende meglio), attenti a cogliere il disco interessante da un colore particolare, da un titolo, da un'impressione...

Perchè una volta c'era la suspance della ricerca, il dubbio del "troverò qualcosa oggi", poi lo studio della copertina, per vedere se vale la pena di procedere all'acquisto, poi fare la somma dei prezzi per vedere se li puoi prendere tutti i cinque che hai trovato, che poi ci sarebbero anche quegli altri due che...
E nel portafoglio hai circa la metà di quello che vorresti poter spendere, e allora scegli: questo sì, questo no, cazzo.

E magari quello no lo "nascondi" un po', tipo che invece di rimetterlo dove l'hai trovato lo metti nei dischi di jazz o negli ep italiani, che se va bene settimana prossima lo ritrovi e te lo compri...

Ecco, bei ricordi, eh.
Questa mattina sono entrato da Metropolis, dicevo.
C'erano le solite scatole con i cd, quattro di "ultimi arrivi" e quelle alfabetiche con le cose lì da un po', più tutta una serie di scatoloni di offerte da 0,5 a 2 euro.

Le ho guardate le tre scatole di ultimi arrivi.
Tutta robaccia, e tutta robaccia vecchia, di 10/15 anni fa.
Novità, nisba.
Roba interessante, nigòtt.

Che dopo la prima scatola, la seconda l'ho guardata un po' meno attentamente, e la terza a spizzichi e bocconi.
Mi sono annoiato in cinque minuti: non c'era nulla da cercare, e forse anche nulla da trovare, tanto le cose sono tutte (ma tutte!) sul web.

E si che ero disposto anche a comprare qualcuno dei dischi che mi sono piaciuti ultimamente e che ho solo in mp3 o flac.
Ma tipo anche, per dire, qualcosa che non mi è piaciuto poi troppo ma almeno lo metto lì insieme agli altri, l'ultimo dei Sonic Youth o una ristampa dei Clash...

Invece: niente, zero, nisba, nada, nigòtt.

Me ne sono uscito con la coda tra le gambe, poi dal computer ho fatto un giro su what.cd e ho scaricato il nuovo Mazzy Star, una ristampa dei Sound e un fennesz che mi ero perso.
Boh.


Note e links:
[1] Per i non milanesi: storico negozio di dischi usati, quello in viale Padova.
Se ne era già parlato qualche tempo fa.

[2] E con questo si chiude per ferie, da venerdì 15 striminziti giorni di vacanza, rigorosamente senza computer...

mercoledì 24 luglio 2013

Caldo

Che caldo.
Finalmente, eh, dopo l'inverno lunghissimo di quest'anno.
Ma è bello lamentarsi a prescindere, due giorni di sole e il freddo è bello che dimenticato, e sotto con le giaculatorie per il troppo caldo.

Sono quasi due settimane che non mi viene in mente nulla di cui valga la pena scrivere.
Sarà il caldo, probabilmente.
Anche perchè il caldo, l'estate, il sole, non sono mai andati particolarmente d'accordo con la "nostra" musica.

In estate, meglio una bella cassa in quattro che almeno si balla, o un sottofondo che non disturbi troppo l'assunzione del cocktail a bordo piscina, senza troppe menate sulla qualità della musica.

Una delle cose che mi ha sempre fatto più ridere è il dilemma dell'appartenente alla subcultura giovanile in voga di fronte al problema della spiaggia: ricordo i punk e i dark degli anni '80, i grunge degli anni '90, gli emo degli anni '00...
Tutti "pesci fuor d'acqua" (eheh) su una spiaggia con il sole a picco.
Anche dentro l'acqua, eh.

E comunque, che caldo.

giovedì 11 luglio 2013

El nigutin d'or (faa su in de la carta d'argent)

Devo dire la verità: io mi stupisco sempre di quanto poco piaccia la musica a moltissimi di quelli che di musica si dichiarano appassionati.
Anche qui, tra i blogger e quelli che frequentano i blog: sembra che tutti abbiano bisogno di altro dalla musica per poterla apprezzare.
E' un florilegio di peana del vinile, della copertina in cartone, dell'odore della plastica, della potenza delle immagini e della bellezza della confezione.
Ma insomma, non vi basta la musica?
Perchè avete sempre bisogno di qualcosa d'altro?

Come se un film fosse sempre superiore a un libro perchè le immagini "aiutano" a concentrarsi sulla storia?
O forse è perchè si fa meno fatica a immaginare e a capire che a vedere?
Vi piace la pappa già pronta, pre-masticata?

Che poi vi capisco, eh: la musica è difficile.
L'esperienza è facile: senti le vibrazioni.
E' ascoltare che è difficile, perchè il linguaggio musicale non è per tutti.
Poi certo, sentire i risultati dell'applicazione di quel linguaggio è semplice.
L'universalità delle sensazioni, il ritmo, quello che volete: l'esperienza epidermica è alla portata di tutti.
Ti piace, non ti piace, bella lì.
Capire, è un'altra cosa.

Però gli appassionati vogliono di più.

E invece di chiederlo alla musica, lo chiedono al contorno, alla confezione, al "prodotto".
Oppure alla memoria di quando eravamo qualsiasi cosa che ora non siamo più.
Ma un bel nigutìn d'or, anche se faa su in de la carta d'argent, l'è semper un nigutin.[1]


Note e links:
[1] Come diceva la mia nonna... "nigutin" è "niente", quindi: "un niente d'oro avvolto in carta argentata rimane sempre un niente".




giovedì 4 luglio 2013

Esperienza di ascolto: Sonic Youth - Daydream Nation De Luxe Edition vinile 180 gr.

Bene, ho dovuto ricredermi.
Ho comprato la ristampa remasterizzata in vinile de luxe da 180 gr. di "Daydream Nation" dei Sonic Youth, sono andato a casa di un mio amico dotato di impianto hi-fi esoterico e mi son messo lì, a cercare di capire se davvero il rig vinile-hifi fosse infinitamente più godibile all'ascolto del mio misero iPod.
Non volevo crederci, ma è proprio così!

Non solo.
I dettagli sonori che si colgono sono infinitamente più profondi, più definiti, più precisi.
Un piacere uditivo per le orecchie, un piacere conoscitivo per la mente.

Eh sì, perchè la precisione del dettaglio che si riesce a cogliere è sorprendente.
Ad esempio, io sapevo che Kim Gordon in quel disco suonava un basso Fender Jazz.
Ma non mi ero mai accorto così chiaramente che il basso era sicuramente un modello del 1959, colorazione Sunburst.
Si sente chiaramente l'uso pressochè esclusivo del pickup al ponte (i toni più metallici sono inconfondibili) e si riesce addiritura a capire che le corde Ernie Ball usate non sono le più comuni 2844 ruvide, ma le 2804 lisce, che rendono il suono più morbido: in combinazione con il pickup al ponte, metallico ma non sgradevole.
Azzarderei che (ma qui non sono sicuro al 100%) la tracolla usata durante le registrazioni fosse una Fender originale marrone-gialla, un classico degli anni '80.
Il plettro invece è chiaramente un Dunlop morbido, colore rosso.

Il suono amplificato è molto probabilmente un mix di suono diretto collegato tramite d.i. box al mixer e suono dell'ampli, senza ombra di dubbio un Trace Elliot 7215 SMC, coni Celestion da 12".
Con l'ipod non ero mai riuscito a sentire la dimensione dei coni dell'ampli, ma l'accoppiata vinile-hifi rende chiarissimo l'uso dei 4 coni da 12".
Il rig degli effetti è altrettanto chiaro, adesso: chorus+flanger TC Electronic, distorsore Boss OD-1 (alimentato a pila, si sente chiaramente la differenza sui transienti rispetto all'alimentazione a corrente), delay digitale Roland DD2000 e riverbero Eventide 2016, quest'ultimo usato chiaramente con il preset nr. 12, "Small Hall", ma con i tempi di pre-delay e early reflections sicuramente customizzati da Kim, probabilmente a 0,10 ms il primo e 0,15 ms il secondo.

Dicevo prima della d.i. box collegata al mixer: sul mixer non metterei la mano sul fuoco, ma direi che è un SSL customizzato Neve: il tono dell'equalizzazione applicata al canale è inconfondibile, pura scuola inglese.

Per finire, sono piuttosto sicuro che Kim abbia suonato in piedi su un tappeto Kilim non originale, una probabile copia di fattura mediocre made in Hong Kong.
Però, e qui viene il bello, il tappeto era appoggiato su un pavimento certamente in parquet: in alcuni passaggi si sente Kim che, variando il peso di appoggio da un piede all'altro, attraverso il tappeto manda in risonanza i listelli del pavimento.
E qui si sente in modo davvero inequivocabile che il parquet era in mogano rosso, listelli da 30 cm e lucidatura effettuata da non più di 2 anni.

Insomma, il dettaglio sonoro restituito dall'accoppiata vinile e hifi è una cosa assolutamente incredibile.
Senza nemmeno integrare il tutto con le gioie della copertina di grandi dimensioni, dell'odore della confezione e della visione dello spinning del disco, beh: tutte le cose che sono riuscito ad ascoltare questa volta le avevo ignorate per almeno 25 anni.

Ora, si cambia.
Da domani, solo vinile e hifi.
Magari non ascolterò più nemmeno una canzone, ma non mancherò più di riconoscere il colore della maglietta indossata dal tecnico delle chitarre durante la registrazione di quel disco...

mercoledì 26 giugno 2013

Cose intelligenti dette sulla musica - nona parte

Federico Guglielmi: Certamente avere altre fonti di reddito permette di mantenere un rapporto più puro con la musica: non dipendendo da essa si è liberi di seguire la propria indole infischiandosene delle vendite.
Steve Turner (Mudhoney): Esatto. Non si è schiavi di nessuno.
[1]

Bellissimo, non potrei essere più d'accordo.
Tenderei però a estenderlo anche ad altri campi, ad esempio a quello ultimamente piagnucolosissimo dei "critici rock".
Anche qui, ai professionisti prezzolati preferisco di gran lunga i dilettanti dei blog, quelli che avendo altre forme di reddito si permettono di avere un rapporto più puro con la critica musicale: non dipendendo da essa sono liberi di seguire la propria indole infischiandosene delle vendite degli spazi pubblicitari...


Note e links:
[1] Tratto da un intervista pubblicata sul blog di Federico Guglielmi

[2] La rubrica "cose intelligenti" mancava dal blog da più di un anno, ma è oggettivamente difficile renderla meno saltuaria...

martedì 11 giugno 2013

Bowie, dischi in vinile e internet

David Bowie da Letterman, periodo "Heaten".
Letterman ha in mano il disco di Bowie, scherzano su quale sia il verso in cui guardarlo.

Bowie: "E' un cd davvero grande"
Letterman: "Questo è come una volta erano i dischi, in vinile. Ma perchè la gente vuole ancora comprare i dischi in vinile?"
Bowie: "Perchè sono matti. Io scarico tutto da internet"

Periodo "Heaten" significa che questa è un'intervista del 2002, cioè 11 anni fa.
Non c'è un cazzo da fare, Bowie è da sempre più avanti della maggior parte del resto del mondo.



venerdì 7 giugno 2013

Critica Euclidea

L'altro giorno, parlando di stereo8 sul blog di tony-face mi è scappato di citare un corollario in merito alla qualità sonora dei supporti fonografici, che discende direttamente dal teorema della qualità musicale dei gruppi pop-rock, a sua volta generato dal postulato della qualità erga omnia.
Per i pochi che se li fossero dimenticati (le scuole medie sono ormai lontane...) li riporto qui di seguito.


Corollario della qualità sonora dei supporti fonografici

La qualità sonora di qualsiasi supporto fonografico è molto ma molto superiore a quella di qualsiasi supporto fonografico che sia stato inventato in seguito e molto ma molto inferiore a quella di qualsiasi supporto fonografico che sia stato inventato in precedenza.


Teorema della qualità musicale dei gruppi pop-rock

La qualità musicale di qualsiasi gruppo musicale pop-rock è molto ma molto superiore a quella di qualsiasi gruppo musicale pop-rock che si sia formato in seguito e molto ma molto inferiore a quella di qualsiasi gruppo musicale pop-rock che si sia formato in precedenza.


Postulato della qualità erga omnia

La qualità intrinseca di qualsiasi cosa è molto ma molto superiore a quella di qualsiasi cosa che sia accaduta in seguito e molto ma molto inferiore a quella di qualsiasi cosa che sia accaduta in precedenza.


Come si diceva una volta: "questo è un accordo, questo è un altro, vai e metti in piedi la tua punk-band".
Seguendo questi tre semplici assiomi potete parlare di musica (o di qualsiasi altro argomento) in modo professionale all'infinito...

mercoledì 5 giugno 2013

Volevo fare il drizza-banane

Io avrei sempre voluto potermi mantenere facendo il lavoro dei miei sogni: il drizza-banane.
(O, in alternativa, il critico della drizzatura delle banane.)

La drizzatura delle banane è una tradizione che purtroppo si sta perdendo, ed è sempre più difficile sopravvivere dedicandosi a questa nobile arte.
Nei tempi passati (tempi d'oro, per definizione) la professione del drizza-banane era rispettata da tutti e forniva ai suoi migliori praticanti di che vivere nel lusso.
Ma anche gli onesti professionisti potevano agevolmente crearsi una comoda posizione lavorativa nel settore.

Purtroppo l'abitudine alla banana drizzata si sta perdendo.
Il pubblico, complici anni e anni di banane storte a poco prezzo smerciate dalla grande distribuzione, non riesce più ad apprezzare l'enorme differenza qualitativa della banana drizzata.

E' un gusto, un'abitudine che si sta perdendo.
Certo, dovremmo tutti impegnarci di più, far sì che il pubblico si riabitui alla banana drizzata, ma non è semplice.
Anzi, è quasi impossibile: come spesso succede, tornare indietro non è un'opzione praticabile.

Per alcuni anni il settore si è mantenuto grazie ai larghi contributi del finanziamento pubblico, in particolare le cooperative di drizza-banane hanno potuto sopravvivere ai mutamenti di gusto del mercato.

Ora, purtroppo, tutto ciò non basta più.
Il mercato, semplicemente, si è rivolto da un'altra parte.
Noi che, per anni, a forza di sacrifici, abbiamo cercato di mantenere viva la nostra professione, contro tutti e contro tutto, non riusciamo più a tirare la fine del mese.
Ci scontriamo sempre più con l'indifferenza di questo mondo moderno, che non ha più spazi e tempi per apprezzare la qualità derivante da un lavoro impeccabile, svolto da professionisti seri.

E tutto questo fa male, perchè noi ci abbiamo creduto.
Abbiamo creduto nel valore della tradizione di questa nobile arte, nel valore della lotta culturale che abbiamo combattuto per anni in suo nome.
E in nome di questo abbiamo accettato ogni sorta di sacrifici, soprattutto economici, provando a sopravvivere dei sempre più magri proventi del nostro lavoro.

Certo, ci saranno sempre banane drizzate alla meglio da volenterosi dilettanti o da imberbi praticanti senza nessuna esperienza.
Ma il valore della professione, il valore dei professionisti, sarà presto perso per sempre.
E questo sarà inevitabilmente un vulnus per tutta la società: un altro pezzo del nostro passato che se ne va, che si perde, nel nome del vano progresso che tutto fagocita.

E soprattutto, cazzo, a noi ex drizza-banane ormai disoccupati ci toccherà, per la prima volta nella nostra vita, metterci a lavorare sul serio.

lunedì 3 giugno 2013

Spiritual guidance

Vedete l'uomo nella foto qui di fianco?
Bene, quest'uomo è un genio.
Il mio nuovo maestro di vita.

A dar retta ai suoi ex-collaboratori del Mucchio Selvaggio, ha diretto per più di trent'anni quella rivista musicale, pur non capendo un cazzo di musica, senza conoscere troppo bene nè l'italiano nè l'inglese.
Che in effetti, tra il numero di articoli sul Boss e la sua autobiografia, "Wild Thing", tradotto come "Pensare selvaggio", il dubbio viene...

Il web (vabbè, il web che frequento io) trabocca ormai di puntate sulla saga del Mucchio Selvaggio, compresi contributi statali, paghe da fame per i collaboratori, casali rock e macchine aziendali.

Mentre lo Stefani Max si faceva la bella vita con i contributi statali e le macchine aziendali di cui sopra, stipendi auto-assegnati oltre i 10.000 euro mensili, vacanze e appartamenti come benefit, lavorando il meno possibile.
Ma questo è semmai un punto a favore.

Un genio assoluto.
Voglio essere come lui.

mercoledì 29 maggio 2013

Outsider

E' in edicola (insomma, si fa per dire: solo in alcune selezionatissime edicole e in alcuni selezionatissimi negozi di vinile, se no in pdf) il nuovo mensile di Max Stefani.
Velocemente leggo sul sommario (click sulla foto per ingrandire) i contenuti:

- Troggs
- Van Morrison
- Eric Burdon
- John Mayall
- Gram Parsons
- John Martyn
- Stepehn Stills
- Jethro Tull

E anche (probabilmente infilati da qualche giovane redattore) qualcuno che non ha cominciato a suonare negli anni '60:

- Wayne Coyne
- Umberto Palazzo
- John Grant

Quest'ultimo specificando che trattasi di cantante e non del vecchio presidente degli Stati Uniti (?), il che dice molte cose sia sul senso dell'umorismo che sui riferimenti culturali dei (?) redattori (?) della nuova e rivoluzionaria rivista rock.

Siccome oggi mi sento buono, mi fermo qui.

giovedì 23 maggio 2013

The Clash - Sound System

Era un po' che non si parlava di cofanetti de luxe, quand'eccolo, finalmente: il box dei Clash.
Curato da Paul Simonon e Mick Jones, eh.
    Che sembra abbiano approvato, nell'ordine:
  • la confezione a forma di Ghetto Blaster, fichissima e raffinatissima;
  • la nuova rimasterizzazione dei 5 dischi dei Clash quivi inclusi ("Cut the Crap", perfino Simonon si vergogna del fatto che in copertina ci sia scritto "The Clash"?);
  • ben tre cd di alternate takes, b-sides, versioni live etc, in una parola sola: "scarti";
  • l'inclusione di alcuni fondamentali filmati su DVD che servono a farcire il cofanetto;
  • l'inclusione di poster, adesivi, ricchi premi e cotillons. Immagino la felicità di ogni attempato punk tra i 50 e i 60 che si procurerà il cofanetto per la possibilità di appendere il poster nella sua cameretta e di appiccicare gli adesivi sulla copertina del diario scolastico;
  • non ultimo, l'accattivante prezzo di soli 290 dollari, che avrà un peso decisivo nello spingere i fan dei Clash a ricomprare per l'ennesima volta gli stessi dischi con su la stessa musica.
Dischi bellissimi, eh, e fondamentali.
Ma anche basta: io li ho già comprati due volte (la rimasterizzazione di un paio di anni fa l'ho saltata), soldi da me non ne prendono più.

Ah, dimenticavo: per chi (ohibò!) non volesse spendere i miseri 290 dollari per il cofanetto, c'è anche la nuova raccolta su 2 cd ("The Clash Hits Back").
33 pezzi tratti dai cd ma, colpo di genio!, messi in sequenza in modo da replicare la scaletta del concerto del 10 luglio 1982 a Brixton.
Disponibile, a differenza del box set, anche in 3 lp, per gli amanti della purezza del suono analogico etc.
Mai più senza, ovviamente...