lunedì 29 novembre 2010

Storia di un loop

Questa è la storia[1] di un loop. Ma un loop vero, di quelli fatti con forbici, nastro magnetico e nastro adesivo, fatto girare attorno a supporti di fortuna sparsi per lo studio di registrazione e registrato su un multitraccia così da creare una "base" della durata necessaria.
Ed è la storia di un loop realizzato per un album molto poco rock: i Bee Gees stavano preparando quello che sarebbe poi diventato "Saturday Night Fever", e "Stayin' Alive" non aveva il giusto feel ritmico: mancava di solidità, di regolarità.

Strano a dirsi, ma quello fu un disco registrato in relativa economia, in uno studio della periferia di Parigi[2], come colonna sonora di un film a basso costo.
Con il batterista rientrato in Inghilterra per un lutto familiare, e dopo aver provato ad usare la traccia ritmica fornita dalla rudimentale drum-machine di un organo Hammond (le batterie elettroniche programmabili erano al di là da venire), serviva un modo per non interrompere il lavoro.
Il gruppo e i tecnici erano invece molto soddisfatti della resa sonora di "Saturday Night Fever", così a qualcuno venne in mente di prendere un paio di battute della traccia ritmica di quel pezzo, registrarle un centinaio di volte di fila e usare il tutto come nuova base ritmica per "Stayin' Alive".
Durante la ricerca delle due battute perfette, si decise di realizzare invece un loop: la batteria di "Saturday Night Fever" era registrata su quattro tracce, e venne quindi deciso di usare una macchina a quattro tracce presente nello studio per duplicare la registrazione originale ed avere pronto un nastro da tagliare per ottenere il loop di due battute.
L'anello di nastro ottenuto era lungo 20 piedi (circa 7 metri) e venne suonato facendolo girare su supporti appiccicati con il nastro adesivo alle aste dei microfoni, tutto intorno alla control.room dello studio.
Il risultato era un loop perfettamente "metronomico" ("steady"), ovvero quello che poi sarà il difetto imputato a tutte le drum machine: la perfezione del tempo, senza alcuna variazione dall'inizio alla fine...

Il risultato fu così soddisfacente che il loop ebbe una sua piccola "carriera" musicale: fu riusato sia per "More Than a Woman" dello stesso disco che per "Woman in Love" di Barbra Streisand (il tempo era aggiustato ricorrendo al controllo vari-speed del 4 tracce che suonava il loop, cioè la stessa tecnica usata dai Beatles per far coincidere tempo e tonalità dei due nastri che compongono la versione finale di "Strawberry Fields Forever"[3])
Nei credits di "Staurday Night Fever" la parte di batteria di "Stayin' Alive" venne accreditata per scherzo a "Bernard Lupè": dopo la pubblicazione, ai produttori giunsero innumerevoli richieste per quel batterista così regolare, "Steady ad a rock".

Oggi realizzare un loop con un computer è tecnicamente[4] una cosa banale: piazzi un paio di markers, senti se il risultato ti soddisfa, se no sposti i markers (a passi anche di singolo sample) fino a quando tutto non è a posto.
Se sbagli qualcosa, cancelli i markers e ricominci, tanto la registrazione originale è sempre lì, intatta.
La cosa per me incredibile è pensare che si riuscissero a fare le stesse cose con il nastro adesivo e le forbici!


Note e links:
[1] Storia famosa, la trovate con molti più dettagli sulla realizzazione di tutto l'album in questione ad esempio nella rubrica "Classic Track" di Sound on Sound, on-line magazine dedicato alle tecniche di registrazione.

[2] Per ragioni essenzialmente fiscali, come avevano fatto anche i Rolling Stones per "Exhile...".
Lo studio era il "Chateau d'Herouville", già usato da Elton John e tutt'altro che all'avanguardia: i primi di giorni di lavoro furono dedicati alla messa a terra di tutto l'impianto, che generava una collezione di ronzii assortiti...

[3] Storia famosissima, ma se qualcuno non la conoscesse vi si può dedicare una successivo post.

[4] Tecnicamente, perchè "artisticamente" invece la difficoltà è sempre la stessa: tutti i migliori strumenti del mondo da soli non fanno niente. Al limite, ti fanno fare meno fatica a fare qualcosa. Ma sei sempre tu che decidi che cosa vuoi fare.

domenica 28 novembre 2010

Einsturzende Neubauten - Stella Maris

Disco del '96, "Ende Neu" contiene alcune ipotesi di nuove direzioni musicali per il gruppo di Blixa Bargeld[1], tra cui alcuni tentativi di dance-synth-pop che lasciano il tempo che trovano, ma soprattutto contiene "Stella Maris".
Che è uno di quei pezzi che, semplicemente, sono perfetti.
EN vuol dire Berlino, vuol dire canzoni in tedesco: e l'effetto-Sturmtruppen, per noi italiani, è lì ad un passo, come anche l'effetto Vianello in calzamaglia che fa il cabaret (Kabarett?), chi ricorda "...und der Haifisch, der hat Zaehne..."?[2]
E "Stella Maris" è pure una ballata, cantata in coppia con Meret Becker[3], secondo le più classiche convenzioni dei duetti tra voce maschile e femminile.
Riassumendo: ballata, in tedesco, suonata dagli EN. Il risultato dovrebbe essere una cosa inascoltabile.
E invece: è un pezzo bellissimo, a partire dal testo, che avevo sempre ignorato e ho invece scoperto leggendo un'intervista alla ragazza che ha tradotto in italiano, sul suo sito, tutti i testi degli EN. Imparando il tedesco apposta per.[4][5]
Oltretutto, dopo averne "scoperto" il significato, i suoni acquistano una forza evocativa che in un'altra lingua sarebbe stata minore.

Il pezzo è, fondamentalmente, una ninna-nanna.
La chitarra suona un drone di tre note, arpeggiando un accordo di C per tutto il pezzo e il basso suona una sola nota, con effetto slide ascendente.
C'è una batteria minimale, in secondo piano, con il solo suono di rullante probabilmente fatto con una non meglio definita percussione metallica.
Sotto il cantato, una sezione di archi: stando alle note del disco, un violoncello, tre viole e sei violini, che costruiscono il pezzo: la strofa gira attorno al drone della chitarra, mettendo in fila C C7 C/D Csus4, cioè spostamenti minimi di note all'interno di un accordo di C, mentre il "ritornello" ("Du traumst mich ich dich...) aggiunge un Bb e un Asus4, lasciando il tutto nell'ambito delle variazioni minime: nel finale c'è una parte di archi in pizzicato che raddoppia il drone della chitarra.
Niente assoli, niente effettacci, niente rumore.
Solo le voci che si rincorrono, si aggrappano una all'altra, fino alla tensione del crescendo finale. Un pezzo che a me sembra ancora attualissimo.


Note e links:
[1] E' l'anno in cui i Bad Seeds pubblicano "Murder Ballads", che qualcosa deve avere avuto a che fare con la nascita questo pezzo.

[2] Che poi era "Die Moritat von Mackie Messer", tratta dall'Opera da tre soldi (Die Dreigroschenoper) di Weill/Brecht.

[3] Che, grazie al web, ho appena scoperto essere una cantante ed attrice piuttosto famosa in Germania, all'epoca moglie di Alex Hacke, chitarrista degli EN. Sembra abbia pure inciso un paio di album insieme all'ex-marito e ad altri EN.

[4] E magari Enrico "Sull'Amaca" qui potrebbe dire qualcosa di più...

[5] E naturalmente della traduzione sto parlando, in italiano o in inglese: mai saputo o studiato una parola di tedesco. Su Youtube c'è il video, Blixa con un inguardabile cappello da predicatore quacchero o qualcosa del genere, con le parole in inglese.

giovedì 25 novembre 2010

June Miller

Nome abbastanza brutto, purtroppo. Che si confonde con Virginiana Miller, gruppo pop trascurabilissimo - per fortuna non sono nè sorelle nè parenti...
I June Miller sono:
Un gruppo italiano.
E qui mi sono giocato una buona metà dei lettori dei questo blog.
Cantano in inglese.
E qui, arrivederci a metà dei sopravvissuti al punto precedente.
Hanno pubblicato un ep su vinile ed uno su cd. Sono esauriti, ma si possono scaricare le versioni in mp3, gratuite.
Con questa terza notizia dovremmo essere rimasti in due o tre.
Avrei potuto mettere qui qualche banalità della serie "meglio soli etc.", e invece ho rinunciato, troppo facile.

I June Miller sono liguri, non ho idea di quanti anni abbiano e neppure mi importa.
So però che hanno pubblicato dell'ottima musica, e hanno fatto due cose veramente belle:
1. Hanno messo on-line, su The Breakfast Jumpers[1], la versione in mp3 del primo ep. L'hanno chiamata "Simulacra Sunset Ep - De Luxe Edition", e insieme alle tracce dell'ep originale ce ne sono altre 9, tra pezzi "scartati" dall'ep, demo, remix e live. Il tutto gratuito e legale.
Poi si può scegliere di spendere una bella paccata di euro per l'ultimo cofanetto di chiunque volete voi. Indovinate un po' cosa ho scelto io...
2. Hanno pubblicato da poco un secondo ep, "With Downcast Eyes", già direttamente scaricabile dal sito di marsiglia records[2]. Ci sono due nuovi membri nel gruppo, una è Federica alla voce. E lei ha una voce commovente, da lacrime agli occhi per quanto è bella e per quanto la usa bene. Ascoltatela su "No One Comes, Someone Goes", oppure su "Liseli", o sulla bella cover di "Pet Life Saver" dei Giardini di Mirò (tratta da Altri Altrigiardini).
Quest'ultima definisce in modo sufficentemente preciso il suono dei June Miller: siamo dalle parti dei Giardini di Mirò, chitarra smandolinata più o meno: post-rock cantato. Ma fatto veramente bene. Consigliatissimi.


Note e links:
[1] The Breakfast Jumpers è un fantastico - ma davvero - blog che parla di musica. Italiana, moderna/indie/alternativa/sperimentale/pop/folk. Ma nuova. E spesso ottima. Io ci faccio un giro tutti i giorni da parecchio tempo.

[2] marsiglia records è una net label genovese, che ha pubblicato un buon numero di cose molto interessanti: Lo-Fi Sucks! e Port-Royal, tra gli altri. Molti dei lavori sono disponibili per il download, sotto licenza Creative Common. Un giro qui non è tempo perso...

lunedì 22 novembre 2010

Franco Fabbri - Around the clock: una breve storia della popular music

Letto qualche settimana fa, "Around the clock - una breve storia della popular music" di Franco Fabbri è un bellissimo libro.
Bellissimo perchè contiene un gran numero di spunti interessanti, limitandoci a quelli più evidenti:
1 - La definizione di "popular music" come contenitore per tutta la musica non "accademica" e non "tradizionale".
2 - Il rifiuto di applicare giudizi di merito/valore all'interno delle definizoni delle categorie musicali.
3 - Le musiche che fanno parte della "popular music": Tin Pan Alley, tango, napoletana, fado, flamenco, rebetico, blues, jazz, chanson e mille altre, e lo strano prevalere "reputazionale" del jazz, dal punto di vista tecnico ed originativo per nulla diverso o "migliore" delle altre musiche.
4 - La parte tecnica: strofa, ritornello e bridge sono stati formalizzati già dai compositori di Tin Pan Alley!
5 - La parte "industriale", con la crisi della vendita dei dischi conseguente all'invenzione della radio, altro che il web!
6 - La parte che racconta il rapporto tra radio e pagamento dei diritti discografici in USA, il conseguente "sciopero" delle radio verso la musica di Tin Pan Alley e il rivolgersi alle musiche "altre" (non facenti parte dell'associazione che si occupava dei diritti all'epoca) che ha portato alla "morte" di Tin Pan Alley e allo sviluppo di un mercato di musiche nuove.
7 - La nozione di "musica per altoparlanti" che accompagna tutta l'industria discografica (dai grammofoni alla radio, dai walkman agli iPod, dai mangiadischi agli Hi-Fi esoterici)
8 - La visione della musica come evoluzione: evoluzione della musica stessa, dei generi, dei modi di ascoltarla e di riprodurla, dei modi di commercializzarla, dei modi di fruirne. Senza demonizzare nè idolatrare il "nuovo", ma cercando di capirlo e di inquadrarlo in una storia che ha ormai più di cento anni.

Bellissimo anche perchè Franco Fabbri è uno che conosce davvero quello di cui scrive: già componente degli Stormy Six e mille altre cose che potete trovare elencate sul suo sito.
Musicista e musicologo, lo leggo da quando scriveva su "Fare Musica", una rivista che parlava di strumenti musicali dando però grande importanza anche alla musica.
Ricordo un articolo sull'uso creativo del delay che mi è utile ancora adesso, più di venti anni dopo, e il pezzo sul "taglio" di Strawberry Fields che mi aveva (musicalmente) sconvolto, facendomi rendere contemporaneamente conto di quello che era possibile fare registrando la musica, e di quanto fossero stati "avanti", in tutti i sensi, i Beatles.

Tanti spunti, quindi: cercando di evitare il plagio o il semplice riassunto del libro, vorrei partire da questi per cercare di approfondire quegli argomenti che a me sembrano più interessanti; promessa o minaccia che sia, proverò a farlo con i prossimi post.

giovedì 18 novembre 2010

Flaming Lips - Five Stop Mother Superior Rain

"Five Stop Mother Superior Rain" è il mio pezzo preferito in assoluto tra quelli dei Flaming Lips.
E' su "In A Priest Driven Ambulance" del 1990, l'ultimo album "indipendente" dei FL, subito prima della firma con la Warner Bros.
Non sono più i FL devastanti dei primissimi lavori, non sono ancora quelli inutili degli ultimi 15 anni; sono un gruppo sulla strada per diventare "alternativi famosi", "She don't use Jelly" è dietro l'angolo, complice il passaggio in non mi ricordo più quale serie o spettacolo televisivo.
Dietro l'angolo purtroppo c'è anche il gruppo che si sta per perdere in una parodia di se stesso, ottenendone in cambio una discreta fortuna commerciale, accompagnata dalla fama di "rocker acidi" (?)(forse comprensibile per chi fa fatica ad andare oltre briùs), mentre a me sembrano una combriccola di smipatici giocerelloni ex-psichedelici (le bolle di sapone, i palloni giganti, i costumi da coniglio, le trovatine di Wayne - che, accidenti a lui, era un vero e fottuto genio, ascoltate l'intero "Oh My Gawd..." ad esempio)

"Five Stop Mother Superior Rain" è, come tutti i pezzi memorabili, un pezzo semplicissimo.
Tre accordi in tutto: la strofa è E - F# - A - E, il ritornello è A - E - F# - E.
Ma è tutto quello che c'è intorno a farne una canzone-simbolo.
C'è l'atmosfera da ballata un po' "rollingstoniana".
C'è la chitarra acustica che conduce il pezzo, suonata piena, ad accordi aperti, poi raddoppiata da almeno un paio di chitarre distorte, di cui una suonata con il bottleneck.
C'è un'altra parte suonata con il bottleneck che fa da controcanto alla strofa, alternata a una serie di armonici distorti, il tutto condito e amalgamato da fischi e feedback.
C'è pure un pianoforte, e un bel basso distorto che lega i passaggi dal ritornello alla ripresa della strofa.

Le tre strofe hanno i tre primi versi (avessi voluto fare il figo avrei scritto "incipit") migliori del rock tutto:
I was born the day they shot JFK
...
I was born the day they shot John Lennon's brain
...
I was born the day they shot a hole in the Jesus egg
...


Anche se il loro testo più bello in assoluto è quello di "Ode To C.c. Part Two" (che era su "Oh My Gawd..."):
This man came up to me just the other day
He asked me if I'd been born again
I told him I didn't think I had
That I had been rejected
But I think hell's got all the good bands anyway

Sunday Morning

Post una tantum: c'è un nuovo blog da ieri, si chiama Sunday Morning e parla di musica.

mercoledì 17 novembre 2010

Califone - Funeral Singers

Non li avevo mai ascoltati, il tempo, lo spazio, etc. - con tutte le cose che mancano, erano sempre rimasti lì in un angolino dell'hard-disk, tra i dischi da sentire. [1]
Poi ho visto il video di "Funeral Singers" da qualche parte: colpo di fulmine. Anche se a scoppio ritardato...
Il pezzo è tratto dal lp "All My Friends are Funeral Singers", che credo sia la colonna sonora di un film o qualcosa del genere, un documentario forse?
Disco peraltro noioso anzichenò, e che quindi a sentire Marylin (visto qui) dovrebbe guadagnarsi il rispetto di parecchi maschietti. [2]
Ma tra le canzoni noiose, ce n'è una strordinaria.

Ed è un pezzo semplicissimo, quattro accordi in tutto (per la precisione, C#, G# m, B, F#) [3], che girano per tutto il pezzo, con un semplicissimo ritmo di pennate regolari in ottavi e un filino di palm mute, [4] con una bella melodia e qualche misurato intervento degli altri strumenti. Una via di mezzo tra Folk, Pop e suono indie/post-rock (son pur sempre di Chicago!).

Ma il vero colpo di genio è la costruzione degli accordi: su una chitarra con accordatura "standard" sono quattro normali barrè, con cambi di posizione elementari.
Invece i Califone li suonano su una chitarra acustica con una accordatura alternativa. [5]
Per chi volesse provare, è una accordatura in Eb (Eb-Bb-Eb-G-Bb-Eb) cioè un accordatura in E aperto abbassata di mezzo tono; a questo punto l'accordo è costruito solo con le 3 corde basse, lasciando le 3 corde alte libere di risuonare. La forma dell'accordo permette di spostarlo in "sliding" [6], e ciò, combinato con le tre corde che risuonano libere, crea un effetto irriproducibile con un'accordatura standard.

Questa è una di quelle poche canzoni che ascolto in loop, due o tre volte di seguito, e che mi "rovinano" il resto del disco. Che prima ho definito noioso, e magari è semplicemente fatto sbiadire da una canzone così affascinante e "perfetta".


Note e links:
[1] Sarà anche stato l'effetto del nome, che mi fa venire in mente qualcosa tra un motorino degli anni '70 e un fumetto porno, piuttosto che le apparecchiature audio americane cui in realtà si riferisce?

[2] "Men are always ready to respect anything that bores them" è la frase in questione. Secondo me è straordinaria.

[3] Gli accordi sono annotati con la nomenclatura anglo-americana, se volete suonare rock vi conviene prendere confidenza subito con questa notazione, perchè il 99% dei guitar-tab che si trovano sul web questa usano.
Corrispondono comunque a Do#, Sol# m, Si, Fa#.

[4] "Palm mute" è la tecnica che, usando il palmo della mano destra, smorza il risuonare delle corde subito dopo la pennata, usato in maniera a mio parere magistrale da PJ Harvey in molti pezzi di "To Bring you my Love".

[5] Dire accordatura alternativa e pensare ai Sonic Youth è un tutt'uno, loro sono quelli che ne hanno fatto una vera a propria arte, portandola a livelli di perfezione assoluta.
Ma non erano i soli, altri esempi sono sicuramente Nick Drake (non si possono suonare le sue canzoni con accordatura standard. Non funzionano), Robin Guthrie dei Cocteau Twins (ricordo alcuni arpeggi che mi facevano impazzire di rabbia: ma come 'azz' si fa a suonare 'sta roba? E invece erano tutte corde vuote, accordate proprio sull'arpeggio)
Stesso approccio per Adam Franklin degli Swervedriver (gruppo sottovalutato se ce n'è mai stato uno) che partiva da un accordo "non ortodosso" e accordava la chitarra per poterlo suonare a corde vuote, e da lì costruiva il resto della canzone.

[6] Che non è la chitarra suonata con il bottleneck, ma la tecnica di passare da un accordo all'altro non sollevando le dita e riformando il nuovo accordo, ma facendo scivolare le dita lungo il manico della chitarra, senza mai sollevarle, ottenendo il tipico suono slide durante il passaggio da un accordo all'altro.