giovedì 28 marzo 2013

20 canzoni - terza parte

Dopo Nick Cave è giusto alleggerire un po' l'atmosfera (delle regole per la compilazione delle cassette si è già detto nella puntata precedente) e così oggi ecco due pezzi non dico allegri (non esageriamo) ma un po' meno tetri sì.

Mauro Ermanno Giovanardi - Desìo
Torniamo in Italia con Mauro Ermanno Giovanardi, già "Joe dei Carnival" e poi "Joe dei La Crus" qui a Milano, di recente approdato un paio di volte a Sanremo.
Dopo aver inseguito per anni suoni stranieri (tra Nick Cave e Einsturzende Neubauten, dei secondi si riparlerà) ha iniziato a mescolarli via via con la tradizione pop italiana, arrivando, nel suo disco del 2011, a identificarsi totalmente con questa.
Musica per show del sabato sera degli anni '60, trasmessi in bianco e nero sul "primo canale".
"Desìo" (accento sulla i, che quando ho letto il titolo per la prima volta mi ero detto "ma come diavolo si fa a intitolare una canzone a una città insulsa come Desio?"), melodia non banale e arrangiamento orchestrale lussureggiante.




Message to Bears - Found You and You're Safe
Segue "Found You and You're Safe" di Message to Bears, nome dietro cui si cela il solo Jerome Alexander, musicista inglese di Cambridge che pubblica i suoi dischi con alcune piccolissime etichette "do it yourself" con tirature estermamente limitate (ma sul serio, tipo 100 o 200 copie).
Canzone d'amore atipica: è solo strumentale.
Ma la melodia della chitarra, adagiata su una atmosfera malinconica e resa inneffabile dall'inserimento di suggestioni quasi-ambient, è indubbiamente un canto d'amore.






martedì 26 marzo 2013

20 canzoni - seconda parte

Seconda puntata, oggi Nick Cave.
Lo ascolto da almeno trent’anni, nelle sue varie incarnazioni: dai Birthday Party ai Bad Seeds ai Grinderman ai dischi solisti.
E' una presenza costante tra i miei ascolti.

Nel 1997 ha pubblicato "The Boatman’s Call", lontano dal furore degli esordi o dei primi Bad Seeds, quelli che suonavano ne "Il cielo sopra Berlino" di Wim Wenders, eppure uno dei suoi lavori che più mi piacciono.

Qui ho preso due pezzi da quel disco.
Cosa che nelle compilation non si fa, eh.
Ci sono un sacco di regole da rispettare, e questa è una delle tante. La citazione di "Alta Fedeltà" incombe anche oggi, e quindi, eccola:

"Mi ci vollero delle ore per mettere insieme quel nastro.
Per me, fare una cassetta è un po’ come scrivere una lettera - è tutto un cancellare e ripensarci e ricominciare daccapo...
Registrare una buona compilation per rompere il ghiaccio non è mica facile.
Devi attaccare con qualcosa di straordinario, per catturare l’attenzione, poi devi alzare un filino tono, o raffreddarlo un filino, e non devi mescolare musica nera e musica bianca, a meno che la musica bianca non sembri musica nera, e non devi mettere due canzoni dello stesso cantante di seguito, a meno che tu non imposti tutto il nastro a coppie, e... beh, ci sono un sacco di regole.
Così sudai sette camicie componendo questa cassetta qua, e da qualche parte per casa devo avere ancora un paio di nastri di prova, prototipi poi eliminati."


Contro le regole, quindi: ma quei due pezzi sono due facce di una stessa medaglia, e presi insieme fanno la più bella canzone d'amore (triste, il tema è sempre quello) mai scritta.
Chiunque abbia una moglie/marito/compagno/compagna/cane/gatto/orsodipeluche dovrebbe dedicargli o farsi dedicare queste due canzoni.
Poi sono così belle che è impossibile scindere i testi dalla musica, e allora metto il link a testo e traduzione sotto i due video, che vale la pena perdere un momento per leggerli.

Nick Cave - Into My Arms
(testo e traduzione) 






Nick Cave - (Are You) The One That I've Been Waiting For  
(testo e traduzione)

 

lunedì 25 marzo 2013

20 canzoni - prima parte

Allora, metti che vuoi spiegare a qualcuno che cos'è per te la musica.
Qualcuno che magari non vedi da trenta o quaranta anni.
E metti che per te la musica è stata una delle cose più importanti della tua vita.
Metti che il perchè, in fondo, non è così importante: tu non te lo sei mai chiesto veramente, ma è sempre stato così.
Hai letto di musica, hai scritto di musica, hai comprato dischi e cd, hai inciso dischi e cd, hai visto centinaia di concerti e ne hai fatti diversi pure tu.

Adesso vuoi spiegare tutto questo a qualcuno, con una ventina di canzoni (ero partito con dieci, ma cazzo no, con dieci è impossibile. Venti sono tante ma non troppe, più o meno la durata di una classica C90...)
Diciamo venti canzoni, quindi, per spiegare un mondo intero.
Magari un po' obliquo, con una visione laterale, ma fondamentalmente pop.
E musica pop vuol dire canzoni d'amore.
Tristi, di solito.
E qui può mancare la citazione di Nick Hornby? No, e infatti, eccola:

"Che cosa è venuto prima: la musica o la sofferenza?
Ascoltavo la musica perché soffrivo? O soffrivo perché ascoltavo la musica? Sono tutti quei dischi che ci fanno diventare malinconici?
La gente si preoccupa perché i ragazzini giocano con le armi, perché gli adolescenti guardano film violenti; c'è la paura che possano sviluppare la cultura della violenza. Nessuno si preoccupa dei ragazzini che ascoltano migliaia di canzoni - migliaia, letteralmente - che parlano di cuori spezzati, e abbandoni e dolore e sofferenza e perdita. Le persone più infelici che conosco, dico in senso amoroso, sono anche quelle pazze per la musica pop; e non sono sicuro che la musica pop sia stata la causa della loro infelicità, ma so per certo che sono persone che hanno ascoltato canzoni tristi più a lungo di quanto non siano durate le loro tristi storie".


Citazione da "Alta Fedeltà" ovviamente, che è un libro che parla di me, o di quelli come me.
Perchè chi non si è riconosciuto nei personaggi di quel libro non è un vero appassionato di musica...

Quindi, canzoni d'amore.
Tristi.
Nelle varie combinazioni: canzoni d'amori tristi, canzoni di tristi amori, canzoni tristi di amore, e via di seguito.
Perchè certo, c'è anche un'altra anima del pop: il rumore, l'energia, la carica giovanile del rock e del punk.
Ma metti che vuoi che qualcuno ascolti queste canzoni, non che scappi via al primo fischio di feedback, allora la scelta si restringe.
Quella parte lì, magari dopo.
O in qualche intermezzo.

Prima, ci vogliono le canzoni.
Insieme con le emozioni, certo: quelle fanno parte del pacchetto, tutto compreso.
E a questo punto, non serve tirare fuori venti capolavori assoluti della storia della musica, ma qualcosa che ti rappresenti e che, soprattutto, abbia un significato in sè. Per dire, non puoi usare canzoni che hanno significato solo quando inserite all'interno del discorso più ampio dell'album.

E allora, un paio di canzoni a post, e faccio pure una cosa che non mi piace fare: metto il link al video, così si possono ascoltare senza fatica.
Le prime due:

John Grant - Marz
Il video è deprimente anzichenò, ma la canzone è molto bella melodicamente, e a me ricorda molto David Bowie, quindi un pezzo ottimo per cominciare.
Dal primo disco di John Grant, del 2010, una canzone che, come molte altre delle sue, parla del sentirsi "fuori posto", in questo caso con due strofe quasi-nonsense, fatte di nomi di cibi e bevande, e un ritornello in cui la voglia di essere da un'altra parte si mescola con la nostalgia adolescenziale per il/la "sweet sixteen" che ognuno ha da qualche parte nei suoi ricordi.

Afterhours - Padania
Non mi sono mai piaciuti particolarmente gli Afterhours "in italiano", ma ultimamente sto cambiando idea. Questo pezzo (al di là del titolo poco significativo, che comunque gli ha fatto guadagnare un passaggio in tv da Gad Lerner...) è uno di quelli cui va la "colpa" del cambiamento di idea. Perchè Manuel Agnelli qui ha scritto una canzone con dei versi perfetti.
"Se un sogno si attacca come una colla all'anima 
Tutto diventa vero, tu invece no
Ha ancora senso battersi contro un demone
Quando la dittatura è dentro di te
Lotti, tradisci, uccidi per ciò che meriti
Fino a che non ricordi più che cos'è
Puoi quasi averlo, sai?
Puoi quasi averlo, sai?
Tu puoi quasi averlo, sai
E non ricordi cos'è che vuoi"




lunedì 4 marzo 2013

Registratori quattro tracce a cassette

Ne parlavo recentemente con enri1968.
Gli anni ‘80 sono stati il periodo d’oro dei registratori a quattro tracce su cassetta.
Il primo che ho visto, il Tascam 244.
Era quello dei Weimar Gesang, bellissimo.
Io avevo un più modesto Fostex 160.

E quindi, beccatevi questo post noiosissimo: la categoria è "tecnica", la noia è assicurata.

I registratori quattro tracce erano il mezzo più economico per registrare qualcosa con un minimo di complessità, che andasse oltre la semplice esecuzione live.
Sono stati per molti la palestra di allenamento per prendere confidenza con le possibilità della musica registrata, della sperimentazione "in studio".
Poi si usavano anche per fare le "basi".
Ovvero: stiamo parlando di anni e strumenti pre-Midi (o quasi, il Midi cominciava a essere usato in quegli anni lì)
Vuol dire che i diversi strumenti elettronici (synth, drum machine, effetti) non "parlavano" tra di loro.
O meglio, potevano parlarsi ma solo attraverso costosissimi e limitatissimi sequencer cv/analogici.

Inoltre:
- le drum machine avevano una memoria limitatissima: sulla TR606 ci stavano due/tre canzoni alla volta;
- i synth erano già quasi tutti polifonici (cioè potevi suonare più di una nota alla volta) ma erano quasi tutti rigorosamente monotimbrici (cioè potevi usare un suono alla volta: o era un piano o era un violino, tutti e due insieme no)
Visto che synth e drum machine non erano esattamente una spesuccia da poco all’epoca, costava molto meno (ed era molto più versatile) usare un quattro tracce per pre-registrare le basi con dm e synth, su cui poi suonare le rimamenti parti "live".
In questo modo, con un solo synth riuscivi a creare un arrangiamento credibile.
Ad esempio, una traccia per la drum machine, una per le strings, una per il piano, un’altra per una sequenza di basso sintetico, e dal vivo potevi aggiungere chitarra, basso, voce e magari una batteria vera suonata in sync con quella elettronica.
Robe minime, eh, ma per farlo "live" dovevi avere (esempio appena fatto) tre synth diversi e tre persone che li suonavano contemporaneamente, cioè un gruppo di almeno sette persone...

Pochi anni dopo, con l’avvento dei sequencer midi e dei primi strumenti economici multitimbrici (dal mitico - e qui la parola ci sta tutta - M1 della Korg in poi, anche se non economicissimo, ai veramente economici Roland U110/U220), la situazione sarebbe cambiata completamente, rendendo molto più economico e versatile l’uso dei sequencer piuttosto che delle basi.

E poi, finiti i tempi d’oro della new wave, diciamo 1986/1987, per fare musica "underground" synth e drum machine non erano più di moda, erano gli anni del ritorno a batterie vere e chitarre distorte.

Nel frattempo, in campo professionale, prendeva sempre più piede la pratica della registrazione midi su sequencer, prima pilotato tramite sync su una delle piste del multitraccia analogico, cui si affiancavano le registrazioni di tutto quello che non era elettronico e/o pilotabile in real time, fino ad arrivare, attraverso una continua evoluzione, alla registrazione completamente digitale delle moderne DAW, dai precursori Pro Tools (pro) e Cubase (home) in avanti.
Oggi una DAW è un software integrato che comprende registratore su hard disk, mixer, effetti e strumenti, sia virtuali che campionati.


Note e links:

[1] spesso si sente parlare a sproposito di "magia del suono analogico".
Ecco, ammettiamo pure che questa magia esista.
Ma non stiamo mica parlando di cassette, eh.
"Il nastro" non è mica tutto uguale: c’è una differenza enorme tra il suono di una povera cassetta, anche se fatta girare a velocità doppia come nei quattro tracce a cassetta, e un master su bobina da ½ pollice.
Dinamica, definizione, fruscio: tutte cose nemmeno lontanamente paragonabili...

[2] i registratori quattro tracce a cassette usavano diversi "trucchi" per cercare di massimizzare la qualità sonora della povera cassetta: la velocità raddoppiata (9,5 cm/s invece dei 4,75 standard delle cassette stereo), l’uso esclusivo di cassette "chrome" o "metal", l’uso dei vari sistemi di noise reduction (dolby "b" e "c", dbx)
Anche se, in sintesi, suonavano tutti come è giusto che suonassero: amatoriali...
Al giorno d’oggi qualsiasi scheda audio per computer (qualsiasi!) suona incomparabilmente meglio di un registratore a cassette.

[3] io ho fatto più o meno tutta la strada della registrazione amatoriale in proprio: dal mio primo 4 tracce a cassetta, usato sia per fare le basi (con il mio primo gruppo, quello new wave che non è mai uscito dalla sala prove) e per registrare i demo tape sia miei che di vari amici, all’uso del sequencer midi incorporato nell’M1 Korg (inaffidabilissimo...), poi sostituito dal pro-24 Steinberg (cioè l’antenato del Cubase) sull’Atari 1024, fino all’attuale DAW su computer (Ableton Live su Windows 7)
Passando per diversi step intermedi: ricordo un sequencer Roland (MT qualchecosa?) e svariate versioni craccate di software per Windows, e il TEAC 238 (otto tracce a cassetta) con il quale abbiamo registrato i cd dei Mother of Loose.