lunedì 29 marzo 2010

Giornalismo musicale italiano



Nella foto: giornalista musicale americano che fa il buffone. Per il tipico giornalista musicale italiano, basta togliere "fa".

L'Irlanda, il Country, il Blues, Springsteen, Dylan e i critici rock di mezza età (ma anche quelli più giovani ed ugualmente appiattiti sulle posizioni "dei prestigiosi colleghi") mi hanno rotto i coglioni.
Vi concedo che a un sedicenne può essere utile il parere di un "giornalista musicale" che sicuramente ne sa più di lui.
Ma a me, che fra tre anni avrò mezzo secolo di vita, del parere di:
  • l'ennesimo saputello/a che ha ascoltato un decimo dei dischi che ho ascoltato io
  • l'ennesimo critico rock pelato che ha ascoltato più dischi di me (ma tutti di cloni tra il Boss e Dylan)
  • l'ennesimo critico che si entusiasma per il testo (!) di una canzone - perchè la musica non la capisce, vuoi mettere come è più facile "parlare delle parole"?
  • l'ennesimo critico che si ritene autorizzato - da non si sa quale divina investitura - a parlare di musica senza essere capace di suonare nemmeno una chitarra acustica. E poi si riempie la bocca, nel 99% dei casi a sproposito, di termini quali "melodia", "armonia", "arrangiamento", (ad lib.)
del parere di tutti questi, dicevo, fregauncazzo.
Tutta gente che avrebbe sparato contro la "svolta elettrica" di Bob Dylan.
Tutta gente che nel '66 non avrebbe mai parlato bene dei Velvet Underground.
Tutta gente che nel '77 avrebbe detto "ma questa non è musica!" dei Clash e dei Sex Pistols.
Tutta gente che nel '89 avrebbe bollato "Bleach" dei Nirvana come "heavy-metal".
Tutta gente che nel '01 non avrebbe capito "Endless Summer" di Fennesz (e in effetti anche adesso non è che..)
Tutta gente che adesso ignora beatamente le cose che rivaluterà domani, dopo che qualcun altro li avrà costretti a riscoprire, già pre-digeriti, i dischi che oggi non riescono a capire perchè "non c'è il blues"...

Di tutta questa gente, non sento il bisogno e non sentirei la mancanza.
Perchè per fortuna non è questione di inseguire "l'ultima novità" dimenticando tutto quello che c'è già stato, ma di partire da quello che c'è già stato per andare avanti, per non fermarsi, per continuare ad essere vivi.
La centesima versione triste di un pezzo brutto di Springsteen, anche se fatta con una chitarra acustica bucata e le facce tristi da Martinìtt, non fa progredire la musica di una virgola.
La millesima versione banale di Bob Dylan non serve a null'altro che a crogiolarsi nel già sentito.
Anche la cinquantesima versione di Nick Drake, pur se fatta da un cantante altissimo (?) non serve a un beato cazzo, se non a replicare uno stile senza metterci una goccia di anima "in proprio".

Il sommo Dylan, Lou Reed, i Clash, i Beatles ed i Rolling Stones, ma anche Nick Drake: tutta gente che ha rivoluzionato quello che esisteva prima di loro.
Come tanti altri dopo di questi - ma il punto non è fare i nomi - anche se a volte ci è voluto un po' per capire come e chi era stato a riuscirci.

Mentre i nostri impavidi giornalisti si dedicano a non capire chi cerca di fare passi avanti (o anche di lato, a volte basta quello) e a perpetuare le proposte con le quali si sentono a loro agio, senza dover perdere tempo a sforzarsi di capire - in un bel pre-masticato che a me tanto ricorda le minestrine per chi, da tempo, non ha più i denti...

E allora per fortuna che esistono i blog, dove qualche brandello di informazione scappa al conformismo dei sedicenti critici della carta stampata ed al conformismo di chi approva incondizionatamente qualsiasi cagata sfugga loro dalla tastiera del computer.
Esempi ce ne sarebbero a iosa, trovateli pure da soli...

giovedì 25 marzo 2010

DimeADozen



Ne ho parlato in qualche commento su altri blog, ed ogni volta mi rendo conto che esistono delle fantastiche risorse nella rete che io do per scontate e che molti invece ignorano.
DimeADozen [1] è un sito dedicato alla musica dal vivo. In pratica, il "paese dei balocchi" degli appassionati di musica che una volta si svenavano per i "bootleg".

Su DimaADozen trovate quindi prevalentemente concerti, sotto forma di file audio o video.
Tutti i contenuti del sito sono completamente legali: sono scambi tra privati di registrazioni private, non esiste nessuna legge che vieti di farlo.
E' lo stesso principio che sta alla base del commercio dei bootleg - in inglese definiti ROIO [2], che sono sempre esistiti grazie ad una zona grigia del diritto d’autore. Qui la zona grigia non esiste più: tutte le registrazioni scaricabili da DimaADozen sono completamente gratuite.

Ci potete trovare un po' di tutto e di tutti: al momento ci sono circa 37.000 diverse registrazioni disponibili, comprese ovviamente concerti rari e particolari, demo-tape e album mai ufficialmente pubblicati, senza limitazioni di genere, da Springsteen ai Joy Division, dal glitch al jazz, dall'heavy metal alla musica classica.

Le uniche limitazioni qui sono quelle legate alla qualità tecnica [3] degli originali. Niente mp3 o divx, solo file lossless (flac per l'audio e vob per i video), nell'intento di preservare intatta la qualità tecnica originale della registrazione (che spesso non è delle migliori, eh! - stiamo parlando di registrazioni a volte veramente amatoriali, soprattutto se risalenti agli anni '60 e '70 – ma anche di registrazioni impeccabili, al livello dei migliori live ufficiali).
In ogni caso quella che trovate qui è la miglior qualità possibile per ogni registrazione disponibile. Il consiglio è quello di ascoltare sempre, quando presenti, i preview in mp3, oppure scaricare una canzone ed ascoltarla prima di completare il download di tutto il concerto.

I moderatori del sito sono estremamente attenti a cancellare qualsiasi registrazione che sia stata pubblicata in forma ufficiale: qui si trovano solo registrazioni non disponibili commercialmente. [4]
Inoltre esistono alcuni gruppi particolarmente simpatici che non sono felici di vedere i loro fan che si scambiano gratuitamente le registrazioni dei loro concerti, e anche di quelli i moderatori cancellano ogni materiale.
Per fortuna esistono anche i gruppi “taper-friendly”, che non solo approvano, ma anche favoriscono i fan che vogliono registrare i loro concerti… [5]

DimeADozen è un "tracker", ovvero un sito da cui è possibile scaricare file bittorent, con tutti i vantaggi offerti da questo modo di condividere contenuti digitali uniti al fatto di essere un tracker "privato". [6]
C’è un unico, piccolo problema: è necessario registrarsi, in modo assolutamente gratuito, e non sempre è possibile farlo immediatamente – a volte bisogna provare per qualche ora prima di trovare un “posto” libero.


Note e links:
[1] Che in inglese sta per "un decino alla dozzina", ovvero ce n'è così tanti che non costano praticamente più nulla, e sono disponibili immediatamente :)

[2] "Record of independent origin", registrazione di origine indipendente. In altre parole, musica non pubblicata in forma "ufficiale. E quindi, legale - fino a quando non metteranno fuori legge i registratori...

[3] Per le differenze tra mp3 e flac vi rimando a questi due precedenti post: mp3 e flac.

[4] Per essere completamente sicuri, i moderatori non permettono neanche di condividere la tua registrazione di un concerto che è stato pubblicato ufficialmente. DimeADozen crede che preservare la possibilità di scaricare l’archivio enorme che si è creato in questi 6 anni sia più importante di ogni altra considerazione!

[5] DimeADozen in effetti nasce nel luglio 2004 dalle "ceneri" del pre-esistente "EZT/Easytree". Gli avvocati di quel gruppo grunge/alternativo degli anni ’90, mi sembra si chiamassero come un film di Salvatores, si erano molto incazzati perché c’erano alcuni concerti disponibili, e avevano fatto chiudere il sito.
Opportunamente i moderatori di EZT non avevano ritenuto intelligente spendere soldi per una causa legale: chiuso EZT, cancellati tutti i concerti dell’oscuro gruppetto, in alcuni giorni riapparve il tutto sotto il nuovo nome di DimeADozen.
Trovo molto interessante mettere qui alcuni dei nomi degli artisti di cui è vietato, per loro espressa richiesta, condividere le registrazioni:
Laurie Anderson, The Beach Boys, The Black Crowes, Dave Matthews Band, Donald Fagen , Hawkwind, King Crimson, Little Feat, Los Lobos, Dave Matthews Band, Metallica, Alanis Morissette, Van Morrison, Nirvana, Pearl Jam, Père Ubu, Phish, Porcupine Tree, Prince, Michelle Shocked, The Smithereens, Steely Dan, 13th Floor Elevators, Wilco.
Al contrario, qui trovate una lista di bands taper-friendly.

[6] Ovvero, chi si iscrive deve rispettare alcune regole - in cambio praticamente non esistono torrent "orfani" (tutto quello che c'è è sempre disponibile per il download) e non esistono "fake" come sugli avanzi della rete e-mule o su alcuni tracker pubblici.

martedì 23 marzo 2010

Dischidimmerda: Coldplay - Viva la Vida or Death And All His Friends


Nella foto: Chris "Ricky" Martin mentre canta uno dei suoi più grandi successi, "Viva la Vida Loca".


Questo primo contributo esterno a Place to Be, inviato da Webbatici [1], contribuisce a mantenere in vita la rubrica dischidimmerda, che sarebbe altrimenti giunta alla sua naturale conclusione per mancanza mia personale di ulteriore materiale di cui scrivere.
Grazie quindi a Webbatici, gli lascio la parola ricordando che chiunque voglia voglia scrivere di un "suo" discodimmerda è il benvenuto qui!



Non è facile contribuire a questa prestigiosa rubrica [2]; occorre scegliere con cura, analizzare fino in fondo ciò di cui si va a scrivere, quindi in sostanza ri-ascoltare il ddm [3] in questione dall’inizio alla fine, quando si sa che ciò porterà via tempo ad un altro disco nuovo da scoprire o ad un proprio tormentone, classico o del periodo che sia.
Quando si scrive di un ddm, occorre essere quantomeno onesti come quando lo si fa della musica che si ama. Ed io i Coldplay li ho scelti perché per me sono stati una delusione irreversibile, senza ritegno: ho apprezzato i loro primi due dischi, che possedevano una freschezza genuina ed erano fatti con mezzi sostanzialmente poveri, in cui il pop e il folk si sposavano con disinvoltura e un pizzico di malinconia, sfornando songs molto valide come le bellissime "Trouble", "A rush of blood to the head", "Amsterdam", "Spies". Il 2003 fu l’anno di gloria per loro, col tour mondiale sempre sold out, l’idolatria delle folle, la definitiva consacrazione a stars internazionali, e probabilmente qui persero la testa. O meglio, Martin perse la testa: che sia stata colpa della gnocca hollywoodiana di turno o dello status acquisito, non ha molta importanza. Il terzo disco già scricchiolava pericolosamente in direzioni U2iane, e come si poteva facilmente prevedere ecco la disfatta completa del quarto.
Non c’è rimasto più nulla del modesto ma sincero artigianato iniziale: quando andavano male almeno erano una copia mediocre degli Echo & The Bunnymen, ora invece sono un orribile mix del peggiore rock da stadio, all’insegna di tronfi trionfalismi in stile udue, senilismi folk tipo i Rem degli ultimi diec’anni, soul plasticati mascherati da ballad matura, per non parlare degli arrangiamenti, pesanti e fuori luogo specialmente negli archi.
Forse si tratta di uno dei classici casi in cui le produzioni funzionano meglio nell’oscurità, senza pressioni di sorta. Comunque oggi i Coldplay sono un gruppo vuoto, scontato e totalmente privo di idee, che dimostra ogni secondo i propri limiti, anzi li ha già sfondati abbondantemente e calpestati, bel bello del proprio successo mondiale.


Note e links:
[1] Amico di web e brillante autore del blog "Tuning Maze" linkato anche qui a fianco, fategli visita!

[2] Lo spirito della rubrica sarebbe però di prendere per il culo i dischi, non il titolare del blog… vabbè… :)

[3] "discodimmerda" in breve, ovviamente.

sabato 20 marzo 2010

Leanan Sidhe - parte seconda


Conoscete Bandcamp?
E' una piattaforma attraverso la quale chiunque può mettere on line, gratuitamente, le proprie composizioni musicali [1], e renderle disponibili per il download, sia gratuito che a pagamento.

Su Bandcamp sono approdati molto recentemente i Leanan Sidhe.
E hanno messo a disposizione di chiunque li voglia scaricare ed ascoltare i lavori da loro realizzati dopo la fine dell’esperienza con la Spittle Records negli anni ’80, ovvero i due cd “Planesequence” del 1993 e “Calendario Arboreo Perpetuo” del 2000.

Ne avevo già parlato molto velocemente a proposito della ristampa su cd dei primi due lavori [2], ma adesso sono in grado di completare la storia che avevo appena accennato.

Nella ristampa ci sono due “bonus tracks”, ovvero i due pezzi che avrebbero dovuto comporre il terzo ep, mai pubblicato per il rifiuto della casa discografica – troppo “strani” anche per il mercato indipendente dell’epoca, “Polaris” e “The music of Erich Zann”, recuperati nelle loro versioni demo perché delle registrazioni originali si è purtroppo persa ogni traccia. [3]
Soprattutto i venti minuti di Polaris sono fondamentali per collegare i primi due ep a quello che verrà dopo. Banale citare i “corrieri cosmici” del kraut-rock, ma lo fanno gli stessi Leanan Sidhe sul loro sito MySpace…

Finiti i rapporti con la discografia “ufficiale”, comincia per i Leanan Sidhe una nuova fase artistica, che si concretizza in “Planesequence”, cd registrato, prodotto e pubblicato in proprio nel 1993.
Lascio la parola a loro:
“Dopo i due mini lp ed una serie di vicissitudini, per noi traumatiche, con la vecchia etichetta, decidemmo disgustati di abbandonare qualunque tipo di coinvolgimento con altri e decidemmo di fare tutto da soli, quindi comprammo un registratore Fostex a 8 piste, i microfoni, un mixer , costruimmo uno studio in un bosco nella campagna Toscana ed in molti mesi pianificammo e registrammo “Planesequence”.
Purtroppo non avevamo alcuna esperienza in merito e quindi, nonostante il grande impegno profuso, i risultati non sono stati tecnicamente all'altezza, tuttavia sinceramente questo lato “tecnico” non e' che ci appassionasse molto, eravamo più interessati al senso artistico del progetto, quindi il fatto che suonasse più o meno bene ci ha sempre lasciato piuttosto indifferenti , perchè il risultato coglieva appieno ciò che volevamo rappresentare.
Quell'esperienza è stata per noi molto forte emotivamente, ma anche gratificante, pensa che alla fine delle registrazioni abbiamo distrutto materialmente lo studio stesso...”

Ecco, “Planesequence” purtroppo soffre di questa realizzazione tecnica non impeccabile, registrazione e missaggi avrebbero potuto essere migliori: ci sono grandi pezzi qui, ma non sempre è facile riuscire a sentirli.

Nel 2000 esce il cd “Calendario Arboreo Perpetuo” l'ultimo - per ora - lavoro dei Leanan Sidhe.
E’ un disco bellissimo, senza esagerare: è la cosa migliore che abbiano mai fatto. E’ la logica evoluzione del percorso musicale del gruppo, e ancora oggi - dopo 10 anni! – suona meravigliosamente ricco, complesso e “avanti”. Avrebbero potuto finire di registrarlo ieri, e sarebbe ancora ugualmente attuale.
Lascio di nuovo la parola al gruppo:
“Calendario Arboreo Perpetuo” è un esperimento parecchio complesso, partito da basi che abbiamo registrato in giro per il mondo: Terra del Fuoco, India, Nepal, Marocco, Gerusalemme e molti altri posti in cui abbiamo viaggiato
Si tratta di registrazioni ambientali, fatte con un DAT lasciato acceso per diverso tempo in luoghi che ci ispiravano: ci sono voci, rumori e quant'altro… Per esempio, “Il viaggiatore incantato” e' stato registrato a Varanasi in India, su di una barca, mentre all'alba discendevamo il Gange.
Le rive si stavano animando, e piano piano si sono riempite di rumori, suoni, musiche...
Alla fine del ciclo delle registrazioni sul campo, che e' durato anni, siamo tornati al lavoro a casa per la fase successiva: abbiamo riascoltato tutto e ne abbiamo ritagliato dei pezzi con il computer, li abbiamo mandati in loop e abbiamo creato dei primi brani su questi utilizzandoli come base. Abbiamo suonato strumenti acustici di vario tipo, ma anche altri costruiti da noi, fino a farne dei brani veri e propri; finita anche questa seconda fase abbiamo unito le due basi e di nuovo tagliato il tutto, producendo nuovi pezzi del tutto diversi dai primi, poi siamo andati in studio e abbiamo suonato sopra quelle nuove basi aggiungendo un terzo strato, con gli strumenti elettrici.
Per le voci invece abbiamo usato una parte che e' sostanzialmente un racconto recitato, e prosegue da un brano all'altro; insieme a questo ci sono anche parti cantate vere e proprie.
Il tutto ha richiesto un lavoro enorme e lunghissimo, per finirlo ci abbiamo messo quasi 10 anni!
Non avendo nessuna scadenza da rispettare, abbiamo continuato a modificare e sperimentare fino a che non siamo stati assolutamente soddisfatti del risultato: le basi, nei loro passaggi prima della stesura finale, sono di fatto dei dischi a se stanti.
Tutti i pezzi di “Calendario Arboreo Perpetuo” sono costruiti con questo sistema “a strati” tranne l'ultimo, “Facce nella stanza del rabbi”, che invece e' registrato live in diretta in studio senza alcuna sovraincisione.”

Che altro devo dirvi? I due lavori sono disponibili, completamente gratuiti, su Bandcamp: andate lì, schiacciate “download” e li scaricate, completi delle copertine per chi volesse realizzare i cd fisici.
Se non lo fate, beh, ci perdete solo voi… [4]


Note e links:
[1] E la cosa migliore di Bandcamp è l'attenzione alla qualità tecnica della musica: è possibile scaricare file FLAC, mp3 di diverse qualità, e una serie di diversi formati per tutti i gusti.

[2] Ovvero “Ash Groove Primroses” e “Our Early Childood Sky”, raccolti nel cd della Spittle “Blue And Gold (And Yellow) a Collection 1986-1988”.

[3] Tutti i dettagli li trovate sul loro MySpace.

[4] Devo lasciare l'ultima parola ancora ai Leanan Sidhe:
"Quando abbiamo finito "Calendario Arboreo Perpetuo" ne abbiamo spedita una copia ad alcuni giornalisti Italiani, una decina, credo, ho ancora la lista con i nomi e le date della spedizione.... nessuno ci ha mai neanche risposto."
Seguirà post sulla stampa musicale ed i giornalisti italiani - a breve, promesso...

venerdì 19 marzo 2010

Quante note? Ovvero la differenza tra musicisti e strumentisti



"Before you play two notes learn how to play one note - and don't play one note unless you've got a reason to play it." (Mark Hollis)
Ovvero, chè mica tutti devono per forza sapere l'inglese:
"Prima di suonare due note, impara a suonarne una - e non suonarne una a meno che tu non abbia una ragione per farlo."


Mark Hollis è quello dei Talk Talk, che sono quelli - orrore! - di "It's my life" e di altri hit minori di metà anni '80.
Poi, come David Sylvian e pochissimi altri, ha percorso, con il suo gruppo, la strada al contrario: dal successo planetario del pop alle platee molto più piccole di chi apprezza la musica non banale. [1]

Quello che dice questa frase sintetizza tutto quello che, a mio parere naturalmente, c'è da dire sul rapporto tra tecnica e musica.
La tecnica serve agli strumentisti, non ai musicisti.
Ai musicisti basta un'idea.
Chi, come e con quali mezzi realizza l'idea, è secondario. [2]

La moltiplicazione delle note e della velocità con cui sono suonate, tipica di troppi gruppi genericamente “heavy” e dei loro axemen pippaioli, come li chiama DiamondDog [3], troppo spesso serve solo a nascondere dietro la tecnica l’assoluta mancanza di idee.
In qualsiasi "gruppo da birreria" si trovano bravissimi strumentisti - ma lì sono, in birreria a suonare le "cover", perchè sono strumentisti. Non musicisti.
Qualche tempo fa era stata messa una versione di “Time” dei Pink Floyd sul blog Il Cielo Azzurro, suonata dai Dream Theatre.
Perfetta, eh, ma pari pari all'originale, fin nel più piccolo dei suoni usati - tranne la voce, ma lì non ci si può fare nulla.
L'esatto spirito della musica da birreria: riproduzione calligrafica, senza nessuno spazio per personalità o interpretazione.
A mio modo di vedere, la morte della musica (qualunque essa sia).


Note e links:
[1] Perchè quello sono i dischi post-successo pop: "Spirit of Eden" nel 1988, "Laughing Stock" nel 1991 e "Mark Hollis", il disco a suo nome del 1998. Musica che anticipava cose che anni dopo sarebbero state chiamate "post-rock" e in mille altre maniere. Quando sono state pubblicate, semplicemente mancavano le parole per definirle.

[2] E con questo includiamo anche la tecnologia nel discorso: c'è, costa poco e permette di fare cose che 30 anni fa potevano permettersi solo le rockstar miliardarie.
E per quanto ne so io, almeno, non esistono ancora strumenti che suonano da soli: è sempre necessario che qualcuno "dica" allo strumento che nota suonare o che operazione svolgere.

[3] Poi naturalmente su chi siano questi “axemen pippaioli” non c’è accordo, eh: per lui tali Impellitteri, Macalpine, Buckethead, per me vanno bene lì anche Vai e Van Halen :)

giovedì 18 marzo 2010

Dischidimmerda: Litfiba - Desaparecido


Nella foto: prima di diventare Filibustiere, l'integerrimo Pelù aveva provato anche con l'imitazione di Madonna.

Partiamo dall'IRA di Firenze. [1]
Prima metà degli anni '80, a Firenze c'era fermento - Diaframma, Neon e Pankow tra gli altri.
Poi i Diaframma di Federico Fiumani si inventano la new wave cantata in italiano. Per quanto mi ricordo, prima di loro ci sono al massimo gruppi che cantano in misto frutta, un po’ in italiano e un po’ inglese. [2]
Ma Fiumani è bravo, e scrive poesie perfette per la generazione dark di metà anni ’80, e io, come tanti altri allora, amo i Diaframma e i loro dischi: “Altrove” e “Siberia”. [3]

Ma a Firenze c’è anche un altro gruppo, se ne parla sulle riviste specializzate: il cantante “è un animale da palcoscenico, anche se troppo influenzato dalla teatralità di Peter Murphy (!)” [4]
Si favoleggia di performance infuocate, vengono pubblicati dischi quasi irreperibili, ma alcuni pezzi sono già “leggendari”: “La luna”, “Guerra”, addirittura un disco con la colonna sonora di uno spettacolo teatrale, “L’Eneide di Krypton” [5].
Oh, sono quasi tutti bruttini, ma davvero. Musicalmente scialbi, new wavina innocua ed indecisa, e testi francamente imbarazzanti fin da allora. [6]

Quand’ecco che, arriva l’IRA.
Che si inventa uno slogan. [7]
“La nuova musica italiana cagat cantata in italiano”

L’esordio dell’IRA è la compilation “Catalogue Issue”: ci sono su due pezzi dei Diaframma che finiranno su Siberia, due pezzi dei Litfiba che sono forse il meglio della loro produzione, due pezzi dimenticabili degli Underground Life e due pezzi dimenticati dei Moda.
Però l’IRA si accorge che, pur facendo cagare, l’unico gruppo con un potenziale commerciale vero sono loro, i Pelù(che) di Piero.
Archiviato in fretta l’effimero successo di critica dei Diaframma, scaricati in malo modo per mancanza di appeal commerciale gli Underground Life, dimenticati dai loro stessi parenti i Moda, rimangono i Litfiba.
Che oltreutto, vista la “mission” dell’etichetta, devono pure scriversi i testi in italiano. E se per Fiumani l’urgenza poetica era autentica e lo portava giustamente ad usare l’italiano, i Litfiba producevano quintalate di merda fritta – dico, li avete mai letti i testi dei Litfiba? Io purtroppo si, e chiudiamo qui il discorso…
Ma la musica? E anche qui non ci siamo.
Perché dove i Diaframma cercavano una via italiana al post-punk, usando gli stilemi di Joy Division e dei Cure, e trapiantando su di essi i testi in italiano di Fiumani, i Litfiba no.
Loro già avevano testi inutil-banali, e peggioravano il tutto con una musichetta a metà tra la wave pomposa dei Simple Minds e il rock da stadio degli U2 (“Eroe nel Vento” è un plagio spudorato di “I Will Follow”).
Ma nonostante tutto questo riuscivano a passare per artisti indipendenti, nuovi ed alternativi. Come diavolo avranno fatto? [8]
“Desaparecido” è un disco inutile. Stilisticamente, timbricamente, strutturalmente – non è new wave, non è rock – al limite è una “prova generale di futuro gruppo pop”. Ma brutto, oh.
E pensare che se lo paragoniamo a quello che verrà dopo, “Desaparecido” è almeno decente. Perché poi sarà una picchiata senza fine verso la peggior musica da classifica, brutta ed inutile.

Chi non c’era, o era distratto, può rileggere alcune “spigolature” dal post su Vinile: sono recensioni contemporanee all'uscita di quei dischi lì - non è che all'epoca fossero visti molto meglio…

Poi della svolta Pirata/Filibustiere/Cangaceiro/Bandido del Sertao, quella no, non ce la faccio neanche a parlarne. Purtroppo era musica che non potevi evitare, e come tutti mi è capitato di sentirla – per fortuna, poco.
Sembra che adesso ci sia la minaccia di una reunion con l'altro “ragazzo di ieri”, "Ghigo" Renzulli, il trottolino amoroso dei chitarristi corsari.
La circostanza avrebbe almeno il grosso merito di riunire le due “menti” dei Litfiba, evitando così di raddoppiare – come negli ultimi anni – le uscite discografiche, una del bel Pieropelù e l'altra del simpatico Ghigogabibbo che si è tenuto il nome del gruppo per tutto questo tempo...
Sembra si fossero lasciati da buoni amici, un po' come Roger Waters e Syd Barrett [9], adesso han fatto pace – misteri del portafoglio (e delle bollette da pagare…)


Note e links:
[1] Che non è Firenze incazzata, anche se ne avrebbe avuto tutte le ragioni, a pensarci bene, ma la casa discografica “Italian Record Alliance”.

[2] Sicuramente a cercare bene qualche esempio precedente si trova, eh – ma io dico il primo di quelli “famosi”, che si fanno conoscere oltre la loro cantina.

[3] Poi purtroppo comincia la carriera solista di Federico Fiumani, che non sarà mai più così efficace come in quei primi lavori. Senza svendersi come il Bandido del Sertao, però, questo bisogna riconoscerglielo sempre.

[4] Tratto da un Rockerilla del 1982/1983 circa.

[5] Ce l’avevo pure – come tutti gli altri – ma giuro che non mi ricordo cosa diavolo fosse “Krypton” (il nome del gruppo teatrale? Un riferimento al pianeta natale di Superman?)

[6] Peraltro una costante del gruppo, quasi un “marchio di fabbrica” :)

[7] Adesso si direbbe “claim”, mutuando dal mondo della pubblicità – ma allora i riferimenti si facevano al mondo della politica…

[8] Per un bel pezzo, almeno. La risposta alla domanda potrebbe essere “grazie agli investimenti pubblicitari della loro etichetta”? Mah… certo che per lungo tempo la stampa musicale italiana tutta, compatta come non mai, ha cominciato a sparare a zero su chi cantava in inglese – e gli unici che avevano spazi, recensioni, interviste erano quelli che si adeguavano…

[9] Confronta l'estratto della magnifica lezione sui Pink Floyd all'Università di Roma (nei commenti la trascrizione dell'intervista)

martedì 16 marzo 2010

A Broken Consort - Crow Autumn


Che non è altro che una delle varie sigle usate da Richard Skelton [1] per pubblicare la sua musica.
Che sembra non piacere a nessuno di quelli che passano di qui, ma 'zzomifrega...
Gli amanti di Radio Deejay si astengano pure, chi è in cerca della duecentesima versione del Boss volti pag segua qualche altro link...
Per chi invece ha voglia di ascoltare uno degli artisti più veri ed originali degli ultimi anni, è uscito "Crow Autumn", versione stampata dalla Tompkins Square Records di due cd già usciti per la Sustain-Release, "Crow Autumn" e "Crow Autumn Part Two", rielaborati e con un brano non compreso nei due episodi già editi.
Se comprate il cd [2] direttamente da Richard, vi arriva a casa in omaggio pure un altro cd di "inediti", non disponibile da nessun'altra parte. [3]

Chiudo ricordando che A Broken Consort è il nome riservato da Richard Skelton alle sue musiche più personali, più intime e dolenti; non c'è nulla di "facile" o "orecchiabile" in questo disco - per quelle cose lì, rivolgetevi tranquillamente ai troppi gruppi che hanno paura di inventare qualcosa di nuovo e si accomodano senza rischi nel "solco della tradizione" e del già sentito... per fortuna esistono sempre persone che invece cercano di spostare il confine un po' più in là :)


Note e links:
[1] Ne ho già scritto qui e qui, e l'ho citato sicuramente in altri punti - ma che senso ha avere un blog se non lo si usa per cercare di far conoscere le cose che ti piacciono davvero?

[2] Ma per i più "fighi" c'è pure l'edizione in vinile, la Tompkins Square di mestiere fa la casa discografica e giustamente non si fa mancare le occasioni per vendere qualcosina in più agli audiofili rintronati dal vinile...

[3] Per molti questa potrebbe essere una minaccia piuttosto che un modo per invogliare all'acquisto...

giovedì 11 marzo 2010

Franti


Un gruppo che ha sempre parlato in una lingua sola: quella della libertà.
Tutto il resto (musica, poesia, anarchia, incazzature, punk, rock, jazz) sono dettagli che fanno parte del tutto – irriducibili ed incorruttibili, li ho incrociati diverse volte a partire dalla prima ristampa su Lp della cassetta “Luna Nera”.
I Franti sono uno dei punti fermi del mio universo musicale: qualcuno che non ti tradisce mai, qualcuno con cui fare pezzi di strada insieme, credendo nelle stesse cose. Qualcuno che c’è sempre quando ne hai bisogno.
Se non li conoscete (ma è davvero possibile?) siete pregati di farvi un favore e procurarvi al più presto almeno “Non Classificato”, che contiene, tra le altre cose, la ristampa integrale dei lavori pubblicati dai Franti durante l’esistenza ufficiale del gruppo.

Tutto disponibile su “stella*nera” [1], insieme a tante altre cose, comprese le produzioni delle tante esperienze nate dai Franti, ed una sezione loro dedicata con testi, interviste, fotografie – e questa bellissima introduzione che copio e incollo qui:

“verso la fine degli anni settanta, un gruppo di compagni torinesi accende la scintilla che prende il nome di franti: …il cattivo del libro "cuore", quello che rompe i vetri a fiondate e non ascolta il maestro, quello che ride quando il re d'italia muore. | un manifesto, più che un nome. fanno musica semplice, che sa pensare di testa propria e non cavalca le tendenze di mercato. per questo, e per il vizio bastardo di non prostituirsi, di essere comunque diversi, si trovano tagliati fuori da tutti i circuiti: quello tradizionale non li vuole perchè gli sputano addosso ridendo tutte le sue contraddizioni, quello alternativo neanche, in fondo per gli stessi motivi. | solo, per la strada, franti è cantante e pittore, saltimbanco e scrittore, sognatore e poeta. la poesia di franti è poesia da strada: canta frasi raccolte dai manifesti e dalle scritte sui muri, le parole della gente sull’autobus, suonano la colonna sonora della periferia della città industriale. non importa se torino, akron o marghera, bhopal o leverkusen: la città di franti è il mondo intero. | la musica di franti è un giardino immaginario: dentro ci sono bob dylan, victor jara e i banshees, robert wyatt e john cale, patti smith e francesco guccini, fabrizio de andrè e i crass. è una musica fatta a pezzi: sono suoni ruvidi e ritmi spigolosi, presi da un mandala di innamoramenti ed influenze. la confezione è sporca, ma il messaggio è una luce vivida nel buio obbligatorio del culto del non-futuro. | l'avventura di franti dura lo spazio di una stagione ma, a dispetto della rivoluzione punk che finirà in fondo a un contratto con una major oppure suicida in un trafiletto in cronaca, franti riprende vita in nuove forme e nuovi suoni. nomi nuovi eppure sempre diversi, come nuovi e sempre diversi sono gli anni che si susseguono: howth castle, environs, yuan ye, panico, orsi lucille, banda di tirofisso, kina, ishi coinvolti in incroci, riunioni, collaborazioni, sovrapposizioni. | l'avventura non è finita. il sogno non è finito. adesso c'è un bambino nuovo in città: gira in bicicletta per le strade come dante di nanni, figlio bastardo del franti bastardo, libero dai recinti della scuola e senza l'obbligo del catechismo, il sole nei capelli, un sasso in mano e una fionda in tasca. e, statene certi, non appena la sua canzone si spargerà per l'aria, il bastardo quella fionda l'impugnerà e farà volare sassi contro le finestre appena pulite che tengono lontana l'aria della strada, e lancerà un bullone rovente contro il tubo catodico del vostro televisore sempre acceso...”


Note e links:
[1] Chi si ricorda di “Rockgarage”? Etichetta discografica e rivista che sarebbe un peccato sminuire con il nome di fanzine, è stata una delle cose migliori successe in Italia nei primi anni ’80.
Dietro “Rockgarage” c’era Marco Pandin, che ora anima stella*nera: cos’è ve lo lascio dire direttamente dalle sue parole di presentazione:
“stella*nera è una non-etichetta discografica indipendente diretta da marco pandin. | l'idea di fondo è mantenere uno spazio aperto, consapevolmente marginale, per certi suoni non rassegnati. uno spazio utilizzato per diffondere controcultura ispirata da sentimenti pacifisti, anarchici e libertari. | non viene preferito un genere musicale specifico, e c'è uguale interesse per vecchie registrazioni e per materiali inediti. | i vari titoli sono pubblicati in confezioni artigianali utilizzando quanto più possibile carte ecologiche. | i materiali pubblicati da stella*nera non vengono distribuiti commercialmente nei negozi ma offerti in cambio di una sottoscrizione a favore di a/rivista anarchica, mensile anarcopacifista milanese che esce regolarmente dal 1971.”

lunedì 8 marzo 2010

Travi e pagliuzze


Tre morti di seguito, non ho fatto apposta, giuro: Freddie Mercury, Nick Drake, Mark Linkous...
Per ovviare a tanta tristezza, avrei voluto fare un post una tantum di argomento politico, ma poi ho cambiato idea.
Ne faccio uno evangelico, invece.

"Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell'occhio tuo?" (Luca 6, 41)

Naturalmente, "noi di sinistra" no. Per noi le pagliuzze nei nostri occhi sono molto peggio delle travi negli occhi degli altri.

domenica 7 marzo 2010

Mark Linkous


Comunicato dei famigliari di Mark Linkous:
"E' con grande tristezza che condividiamo la notizia che il nostro amico e famigliare Mark Linkous oggi si è tolto la vita. Gli siamo grati del tempo che abbiamo potuto passare con lui e lo serberemo sempre nei nostri cuori. Che il suo viaggio possa essere pacifico, felice e libero. C'è un paradiso e c'è una stella per te."

Non credevo che avrei mai pubblicato un necrologio qui. Ma gli Sparklehorse, anche se non sono nella mia "Top 10", in una eventuale Top 20 ci sarebbero sicuramente, perchè "Vivadixiesubmarinetransmissionplot" era un grandissimo disco. Adesso temo la speculazione degli inediti. Cercherò di non parteciparvi.
Addio Mark, e che la terra ti sia lieve.

sabato 6 marzo 2010

Nick Drake - Pink Moon


Ho cercato una foto che non fosse una delle solite: ho trovato tra le altre quella che ho messo qui sopra – mi sembra così bella, così “normale”.
Un salotto come tanti, tre signore (la mamma? La zia o la nonna?), probabilmente una domenica pomeriggio – chè sono tutti vestiti eleganti – l’abat-jour, il comò con le foto di famiglia, dietro la macchina fotografica probabilmente il padre. E i due ragazzini in primo piano, fratello e sorella, il fratello magari con la prima chitarra che è finalmente riuscito a farsi regalare.
Una foto banale. Ma il ragazzino con la chitarra è Nick Drake – uno dei più straordinari musicisti di sempre: io l’ho scoperto a metà degli anni ’80, era uscito “Time Of No Reply” [1]. Non l’ho mai più abbandonato.
Su Tuning Maze, il blog di Webbatici, avevo scritto un annetto fa questa “recensione” di Pink Moon: l’ho appena riletta e non ho trovato nulla che vorrei cambiare.

Ascoltatelo, "Pink Moon": come dice Nick Hornby in "Non buttiamoci giù", non sentite come sono belle, tristi e disperate le sue canzoni? Se riuscite ad ascoltare questo disco dall'inizio alla fine senza innamorarvene perdutamente, va bene lo stesso: vuol dire che siete già morti dentro, e non vi meritate tanta bellezza. Non si può citare un pezzo piuttosto che un altro - forse giusto il pezzo che da il titolo al disco: avete mai provato a suonare qualcosa di così minimo e perfetto come il pianoforte di questo pezzo? Un disco che dura in tutto poco meno di mezz'ora, ma in cui non c'è niente di meno che essenziale.
Poi certo, Nick Drake è un altro dei troppi morti (forse suicida, forse no) del "rock", uno di quelli quasi ignorati mentre erano ancora in vita e che negli anni è diventato un culto. Ma anche uno dei pochi il cui culto non sembra sconfinato nella necrofilia: sul web potete facilmente trovare le storie di chi è stato accolto in casa Drake dai genitori e dalla sorella di Nick, che si stupivano che la gente amasse così tanto le cose da lui fatte da andare a vedere l'esterno della loro casa - e allora li invitavano ad entrare, a bere un the, gli davano cassette con i pezzi che Nick registrava a casa...
Ma Nick era veramente speciale, se il suo produttore (Joe Boyd) ed il proprietario della sua casa discografica (la Island) si erano fin da subito accordati perchè i dischi di Nick non finissero mai fuori catalogo, anche quando non li ascoltava praticamente nessuno (le edizioni originali dei tre dischi avevano venduto più o meno 5.000 copie...).
Adesso per fortuna Nick Drake non corre il rischio di essere dimenticato: ma se volete farvi un favore, comprate/scaricate/rubate la sua "antologia definitiva": i tre dischi ufficiali e le due raccolte di inediti "Time of no reply" e "Made to love magic". [2]


Note e links:
[1] …e la cantante del mio primissimo gruppetto new-wave aveva il cofanetto con i vinili, subito registrato su un paio di C-90 – io compravo le Sony HF, le più economiche :)

[2] Ma sul serio, eh – che tutti quei dischi lì sono, per una volta, davvero imperdibili.

giovedì 4 marzo 2010

Dischidimmerda (variante gruppidimmerda): Queen


Cappellino introduttivo sul perché mi sembra inutile parlare male di Lady Gaga: non ho nessun disco suo, e non ho voglia di perder tempo ascoltandola – se non per caso alla tv o alla radio… e quindi non posso parlarne né bene né male: non la conosco abbastanza.
Posso invece parlare male del gruppo oggetto dell’articolo odierno: i Queen.
Perché quando avevo 13/14 anni mi piacevano [1], compravo i loro dischi, avevo appeso in camera il poster di “Bicycle Race” (quello con le cicliste nude – perché erano nude e perché era una cosa in qualche modo “ribelle” – a quell’età, eh!)
Alle feste del sabato pomeriggio per far colpo sulle ragazze “noi duri” usavamo cose del tipo: “Nahh, non mi piace la disco, vieni che ti faccio sentire i Queen”… per quanto ricordo, peraltro, con scarsissimi risultati.
Poi i quattordici anni passano, gli orizzonti si allargano, scopri che c’è vita oltre la festa delle medie – e oltre i dischi del futuro baffetto.

E rimangono loro, i Queen, in sintesi:
• un cantante istrionico e vocalmente iper-dotato, che non ha praticamente mai usato la sua voce per cantare alcunché di significativo, essendo troppo occupato a far notare la sua “estensione vocale”; [2]
• un chitarrista pesante, con un suono ridondante e pacchiano quando pulito, oppure banale e scontato quando distorto. Tecnicamente bravino, ma vedi la nota 2;
• un bassista ininfluente;
• un batterista scandaloso, ma discreto a fare i cori. [3]

Dischi costruiti con un impasto furbino di hard-rock, vaudeville, ballatone (i “lenti”) e futuri inni da stadio di calcio – fino all’apice del cattivo gusto, la mitica “Bohemian Rhapsodhy” – una specie di incubo in cui ogni peggior figura retorica musicale ha la sua parte.
Dalla ballata pianistica al sotto-finalino hard, con il capolavoro dell’inutile pomposità della parte centrale in simil-opera lirica (“Figaroooo – mag-nifi-coooo. Zum zum zum zum zum”)
Come dimenticare la scena di Wayne’s World con i quattro sfigatelli adolescenti che la mimano in macchina, fino a fare “head-banging” sulla parte hard-rock?
Lì è dove dovrebbero stare i Queen, tra ragazzini non ancora maggiorenni – e invece c’è chi li prende sul serio, e scambia questo trionfo di banalità conformista e trasformista per indice di versatilità artistica…

Sui dischi dell’epoca ricordo la scritta “In questo disco non sono stati usati sintetizzatori” come se fosse un attestato di merito per la “purezza” del loro rock contro l’artificiosità della musica elettronica (?).
Anche se a un certo punto i synth se li sono comprati anche loro, eccome! Diciamo a partire con “The Game”?
Lì nel frattempo io avevo compiuto 16 anni, e per fortuna mi sono consciamente perso, tenendomene alla larga, tutta la carriera successiva dei quattro, come gruppo e come solisti.

Poi nel 1991 Freddie Mercury è morto.
Umanamente mi spiace per lui, ma commercialmente immagino l’eccitazione e i sogni bagnati dei discografici (“Un nuovo mito! Dischi alla memoria, inediti, puttanate varie, compilation – minchia quanti soldi che faremo su questo bel cadavere fresco fresco!”), anche se francamente cose di cattivo gusto come l’album “Made in heaven” [4], fatto con le ultime registrazioni inedite di Mercury, o pacchiane come le successive reunion con Paul Rodgers alla voce, beh, forse erano troppo anche per l’immaginazione di qualsiasi discografico cannibale.

Sono d’accordo con Webbatici, che in un’altra sede mi faceva notare come “l’idolatria cieca e fondamentalista sia in gran parte causata dalla morte del baffo, quasi come stesse lì a rimarcare il fatto che fossero questo grande gruppo storico e mondiale, quando in realtà negli anni '80 furono più che altro un fenomeno di costume e trasgressione, con zero costrutto musicale.”

Per la differenza tra leggende viventi e miti confrontare la spigolatura da Vinile sui Cure – però è necessario aggiungere che se per diventare un mito la morte è un passaggio necessario, non è comunque un passaggio sufficiente.
Freddie Mercury non era Jim Morrisson, Jimi Hendrix o Ian Curtis. Giocava più nella lega di Liberace o Elton John (che non è morto fisicamente, lo so, ma musicalmente sì, e da parecchi anni…)
I primi sono miti, i secondi sono solo morti. C’è una bella differenza, eh!


Note e links:
[1] Come già scritto ad esempio parlando dei dischi che ci cambiano la vita.

[2] Peraltro, chi se ne fotte, l’estensione vocale può servire per la musica lirica, mica per con il rock. (Per non parlare dei “tecnicismi” da “air-guitarist”: senti che assolo!) Ma è il classico argomento portato “a favore” della supposta grandezza dei Queen e di baffetto: “C’ha una estensione vocale oh! Tre ottave!” (O cinque o dieci ottave, a seconda della propensione all’esagerazione di chi parla – e che normalmente non ha la benché minima idea di cosa sai questa “ottava”).
Ancora dalla conversazione con Webbatici: “Mercury era oggettivamente un grande cantante, ma era troppo vittima del proprio narcisismo tecnico e della prosopopea e dall'eccesso enfatico. Tim Buckley, ad esempio, era l'esatto contrario, cantava con virtuosismo umile e coraggioso.”

[3] Però con un drum-kit assurdo, fatto di alcune migliaia tra piatti e tamburi – molto alla Stefano d’Orazio in questo…

[4] Come dimenticare la sobria copertina, che potete vedere qui sopra: a destra la statua del baffetto, a sinistra i tre becchini che si sfregano le mani pensando ai soldi che gli arriveranno da questa orrenda e necrofila marchetta. Un capolavoro assoluto.

mercoledì 3 marzo 2010

I dischi che vi hanno cambiato la vita - parte 2


Seconda parte, la prima è qui sotto. E' venuta un po' lunghetta, ma volevo concludere l'argomento ;)

1987 – David Sylvian – Secrets of the Beehive
O la fine del periodo new-wave/dark.
Un disco con arrangiamenti di archi che suonano “bene”, che fanno parte delle canzoni e non sono appiccicati lì per far finta che si tratti di musica classica. Con un assolo di filicorno, persino – un vero cambio a 360° rispetto a quello che avevo ascoltato negli ultimi 4 anni.
E poi: chitarre acustiche! E chi aveva mai preso in considerazione una chitarra acustica dopo il punk? Subito comprata per cercare di imparare a suonarla…

1987 - Spacemen 3 – The Perfect Prescription
1987 - Flaming Lips – Oh my Gawd
1987 - Opal – Happy Nigthmare Baby

…ma la fase acustica è breve – perchè nel frattempo cominciano ad apparire cose ancora più nuove, e si confonde con, diciamo, la rinascita del “rock” fatto con chitarre elettriche e amplificatori a palla.
E allora via tutti i pedali Boss, via anche il distorsore, tra la chitarra e l’ampli al massimo c’è un wha-wha, il suono deve venire solo dalla saturazione del pre – magari a valvole, ad avere i soldi per un Twin Reverb della Fender o per un AC-30 della Vox.
Psichedelia moderna per Spacemen 3, devastanti dal vivo. Ma davvero. Un impatto che su disco si poteva solo intuire, tonnellate di feedback e rumore.
Psichedelia virata hard per i Flaming Lips, mica quelli patinati e furbini di adesso, ma quelli veramente innovativi che fino a “Transmission from Satellite Earth” non sono stati capaci di fare un disco brutto.
Psichedelia con ricordi anni ’60 per gli Opal di David Roback e Kendra Smith, forse il punto più alto raggiunto da tutto quello che fu definito Paisley Underground – poi diventeranno Mazzy Star e a me continueranno a piacere lo stesso.
Nel frattempo sta per nascere il “grunge”, e nell’area milanese il Bloom di Mezzago diventa il posto dove andare a sentire musica dal vivo. [1]
E subito dopo…

1990 – Sonic Youth – Goo
… esce questo dischino qui. Non è sicuramente tra i primi 5 dei Sonic Youth [2], ma è il primo da alcuni anni il cui tour tocca anche l’Italia. [3]
Suonano al Rolling Stone di Milano 24 settembre 1990.
L’ho già scritto un paio di volte: alla fine del concerto quasi tutti erano ammutoliti (un po’ per il rimbombo nelle orecchie visto il volume), ci si guardava dicendo “Ma che cosa abbiamo sentito stasera? Come è possibile suonare così?”.
Perché un conto è ascoltare un disco, un conto è vedere dal vivo i Moore e Ranaldo che reinventano la chitarra come strumento, almeno tanto quanto ha fatto Jimi Hendrix.
Non so quanti gruppi siano nati in seguito a quel concerto, ma immagino tanti (e di almeno uno ho notizie certe...)

1993 – Flaming Lips – Transmission from Satellite Earth
1993 – Mazzy Star – So Tonight that Might See

Dopo anni di noise-rock, grunge, e suoni duri vari, un ritorno a sonorità più “pop” con i Flaming Lips di “She don’t use jelly” e i Mazzy Star di “Fade into You”.

1995 – PJ Harvey – To Bring You My Love
La riscoperta della produzione come parte centrale nella realizzazione di un disco: abbassiamo un po’ il gain dell’ampli e cerchiamo un equilibrio diverso tra chitarre e altri strumenti.

1996 – 2000
Anni musicalmente bui per me… un periodo di stanchezza. A 35 anni forse non è più il caso di andare a suonare in giro nei “locali alternativi”. Basta con il gruppo, allora. Compro come al solito Rockerilla ma al terzo numero che non riesco praticamente a leggere per noia e mancanza di interesse decido che si può anche smettere di comprare riviste per un po’.
Poi cambio lavoro, faccio anche un figlio – le priorità cambiano, il tempo diminuisce.
Quando all’improvviso: internet.

2001 – Audiogalaxy
Che non è un disco, ma è il primo programma p2p in cui era possibile trovare di tutto. C’era già stato Napster, vero – ma lì l’accento era sulle canzoni [4], qui c’è una miniera, c’è tutto – basta cercarlo e metterlo in lista (e aspettare giorni per completare il download, vabbè…).
Con Audiogalaxy rinasce per me l’interesse per la musica – soprattutto però per il recupero di tutte quelle cose che non ero riuscito ad ascoltare nei 20 anni precedenti, per problemi di disponibilità monetaria o disponibilità fisica dei dischi, lasciando in disparte la scena contemporanea.
Morto Audiogalaxy si passa a WinMX, dove comincia a essere possibile la ricerca di album completi, e il discorso qualità comincia ad avere una certa importanza…

2005 - Bittorrent
… fino alla nascita dei Bittorrent – ed in particolare di quelli che diventeranno in seguito le comunità private, dove si entra per invito, dove si scaricano gli album completi [5], dove la qualità tecnica diventa fondamentale, dove insieme all’ADSL si comincia a parlare ad esempio di file FLAC - un nome per tutti è Oink. [6]

2003 – David Sylvian - Blemish
2004 – Fennesz – Venice

E finalmente, ricominciamo con la musica “di oggi”.
“Blemish” è una rivelazione quasi immediata: musiche finalmente nuove. Mai sentite prima, davvero.
Da lì nasce la curiosità per Fennesz, che si occupa direttamente di un pezzo come “Fire in the forest”. E quando esce “Venice” cominci a capire da dove viene l’ispirazione per “Blemish”.
Da qui ricomincia l’esplorazione [7], e naturalmente diventa difficile fermarsi: si trovano etichette come la Not Not Fun (Robedoor e Pocahaunted), la scena DIY inglese (Dead Pilot e Sustain-Release), la scena delle net labels. [8]

2009 – Message To Bears – Departures
2009 – Richard Skelton – Landings
2009 – David Sylvian – Manafon

L’ultima citazione non poteva che essere per questi tre dischi – con i quali vi ho già tediato abbastanza nei post precedenti :)


Note e links:
[1] Quasi tutti i concerti importanti tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90 si tengono qui: a memoria Spacemen 3, Loop, Shamen, Nirvana (2 volte), Tad, Dinosaurs Jr., Screaming Trees, Opal, Young Gods, Motorpsycho, Carnival of Fools, Afterhours e tutti quelli che non ricordo adesso.

[2] Cito in ordine sparso: Daydream Nation, Evol, Sister, Bad Moon Rising, Confusion is Sex

[3] Avevano già suonato anche a Milano alcuni anni prima, credo al Leoncavallo nel 1986. Io purtroppo non c’ero.

[4] Anche perché tutta ‘sta storia degli mp3 era proprio nuova: la qualità dei file era un concetto ancora sconosciuto, le limitazioni tecniche dei collegamenti erano enormi.
Chi si ricorda i modem a 28k? Poi la rivoluzione dei 56k, e negli uffici le linee ISDN accoppiate andavano veloci come la luce, 128k!

[5] E non si fanno più pastrocchi assemblando le canzoni di un album prese da fonti diverse, magari con diversi bit-rate (!)

[6] Ed è anche l’unico nome che farò qui… Oink è il primo ed il più importante, chiuso nel 2007. C’è un link nella colonna qui di fianco, chi volesse saperne di più può partire da questo articolo di Wikipedia. Ma la comunità creata da Oink non si è dispersa…

[7] Touch e Mego due etichette cardine per capire dov’è la “musica nuova” di questi anni.

[8] Di tutto questo si è già parlato qui – netlabels a parte, rimedieremo quanto prima, non preoccupatevi (o anche sì...)

martedì 2 marzo 2010

David Sylvian - Manafon


Avvertenza: qui si parla dell’ultimo disco di David Sylvian. Non è un disco facile e non ci sono “canzoni” nel senso tradizionale del termine. Se siete tra quelli che a un disco di Richard Skelton preferiscono Radio DeeJay, lasciate pure perdere – molto probabilmente non c’è nulla che vi possa piacere qui :)

Per me invece, Manafon è un lavoro straordinario.
Ma molto più difficile del precedente “Blemish”, di cui porta all’estremo le tematiche sonore: Manafon non è un lavoro minimalista, non è un lavoro sulla sottrazione, è un lavoro sull’assenza.

Il primo brano è “Small Metal Gods”, e la prima frase cantata da Sylvian è questa:
“It's the farthest place I've ever been, it's a new frontier for me” cioè “E’ il posto più distante in cui io sia mai stato, è una nuova frontiera per me”
E Manafon è proprio così – un posto nuovo. Ed è facile sentirsi spiazzati all’inizio, perché mancano i riferimenti a cui si è abituati, manca il senso di “familiarità” che ci fa sentire più o meno a casa quando ascoltiamo per la prima volta il 99% degli altri dischi.

Qui invece ci aggiriamo per la prima volta in un posto che non conosciamo affatto – l’unica cosa familiare è la voce, quasi sempre “nuda” [1] – ma non sta veramente cantando. Sta “quasi” cantando, la melodia c’è ma è difficile coglierla.
Perché ci sono anche degli strumenti, ma sono in sottofondo, suonano note scarne ed appena accennate, integrandosi con i rumori dell’ambiente in una tessitura che a volte diventa, appunto, puramente ambientale.
E magari quando c’è la voce non ci sono gli strumenti, e viceversa. [2]
Strutturalmente siamo dalle parti della musica “drone”, con pochissimi accordi per ogni “canzone”, ma senza quella ricchezza timbrica data da una struttura fatta di decine e decine di ripetizioni e variazioni minimali. [3]

Qui invece siamo di fronte a quella che definirei come “estetica dell’assenza”: musica improvvisata in diverse sessioni, con diversi musicisti, poi smontata e rimontata dal solo David Sylvian, rielaborata in particelle sonore di quella che forse potrebbe essere descritta come “musica da camera” contemporanea.
E soprattutto la voce, che rende impossibile “imitare” questo disco – perché non puoi ispirarti a quella voce – puoi solo averla. Se ti chiami David Sylvian.


Note e links:
[1] Non è vero che è “nuda” nel senso tecnico del termine, la voce è registrata con i soliti accorgimenti (riverbero, compressore, de-esser, etc.), a volte è doppiata o armonizzata con se stessa, ma quello che la registrazione vuole –e riesce - a trasmettere è un senso di naturalezza, di “nudità”, qui ben raggiunto attraverso l’uso della miglior tecnologia disponibile…

[2] E volendo essere fighi si potrebbe citare il decostruttivismo di Jacques Derrida applicato alla musica – e così in effetti l’ho citato, ma prendendone allo stesso tempo le distanze – ancora più figo :)

[3] Il “normale” pezzo pop/rock è costruito per addizione, generalmente a partire da una semplice sequenza di note eseguite da un solo strumento, cui vengono via via addizionati altri strumenti e/o complementi armonici o contrappuntistici.
La ballata classica, diciamo, comincia con un arpeggio di chitarra, poi arriva un’altra chitarra (o un piano) a suonare gli accordi, poi arriva la voce, fino ad avere un pezzo “completo” di sezione ritmica - ed infine arriva la parte contrappuntistica (l’assolo).
Spesso il finale di una canzone viene risolto procedendo al contrario, ovvero togliendo elementi fino a rimanere con il solo tema iniziale, in una sorta di chiusura di un circolo.

Invece un esempio di costruzione per sottrazione sono i Breathless di “All My Eye And Betty Martin” (d’accordo, non esattamente il pezzo o il gruppo più famosi del mondo…)
A metà canzone sfuma la batteria, e rimangono una texture di synth e chitarra, mentre il basso continua a reiterare il suo giro, fino a quando non rientra la batteria. Ogni volta che lo sento (dal 1986…) mi sembra un’idea meravigliosa, probabilmente “trovata” per caso durante il missaggio del pezzo…

Un pezzo ambient/drone è invece normalmente costruito per accumulazione, una continua espansione che a partire da un semplicissimo tema (a volte anche una sola nota) costruisce micro-variazioni timbriche date dallo stratificarsi di suoni simili ma non identici.