mercoledì 26 gennaio 2011

Recycle - The Factory Years

Post di servizio per tutti quelli che hanno ancora i Joy Division nel cuore: due bloggers, 50£note e Mr. A.L. hanno realizzato un lavoro che definirei monumentale: la ripubblicazione in forma digitale[1] di tutti i singoli del gruppo, fuori catalogo da tempo, completi di parte grafica ed istruzioni per chi volesse realizzare una copia fisica dei cd.
Lavoro monumentale perchè è la seconda parte del progetto "Recycle - The Factory Years", la cui prima parte ha visto la realizzazione di 20 (!) singoli dei New Order.
Il progetto "Recycle" è un vero e proprio atto d'amore verso la musica di Joy Division/New Order: per ogni singolo i due amici sono andati a cercare la versione che "suona" meglio tra vinili e cd, andando a cercare tutti i formati esistenti (tra 7", 12", ristampe, demo, etc.), riunendo in ogni singolo tutte le diverse versioni, rimasterizzate in modo da farle suonare "bene" insieme.

Due esempi: per "Love Will Tear Us Apart" ai due pezzi del singolo originale ("Love..." e "These Days") sono stati aggiunti "The Sound of Music" e la prima versione di "Love..."[2], registrate insieme a "These Days" al Pennine Studio nel gennaio 1980.
Ci sono anche due remix di metà anni '90, il primo trascurabile e il secondo pessimo...

"Licht Und Blindheit" è invece il singolo pubblicato dalla piccola etichetta francese Sordide Sentimental contenente "Atmosphere" e "Dead Souls".
In questa riedizione sono presenti anche Ice Age (pitch corrected) e una seconda versione di Dead Souls (pitch corrected), nelle note della release è spiegato in dettaglio il motivo della pitch correction.[3]
In sintesi, durante la sovraincisione delle parti vocali di "Atmosphere" il nastro era stato accelerato per permettere una intonazione meno difficoltosa a Ian Curtis, e la stessa cosa era stata fatta per gli altri due pezzi registrati nella stessa sessione, ma mentre per il primo la velocità corretta era stata ripristinata durante il mixdown, gli altri due pezzi sono sempre stati pubblicati a una velocità errata.

Insomma, un lavoro assolutamente degno di nota, realizzato professionalmente e con grandissima cura alla qualità del risultato.
Dunque: andate sul sito dedicato al progetto Recycle, scaricate gli otto singoli dei Joy Division e almeno i primi quattro dei New Order, avrete 40 + 14 canzoni da ascoltare nel miglior modo possibile, in modo assolutamente legale e gratuito.[4]


Note e links:
[1] Sono in formato m4a/256k, ovvero il formato "nativo" di iTunes. Chi vuole può inserire qui il solito discorso su formati/supporti fonografici/confezioni. Io li ho scaricati e messi direttamente nell'iPod.

[2] La versione di "Love..." utilizzata per il singolo è quella registrata nuovamente durante le session di Closer.

[3] A margine, questo singolo appena riascoltato mi sembra in serissima competizione con "Strawberry Fields/Penny Lane" per il titolo di miglior singolo di sempre: l'accoppiata "Atmosphere/Dead Souls" è stata assurdamente rilasciata in tiratura limitata per una semi-sconosciuta etichetta francese, una specie di suicidio commerciale per la Factory Records. Che non era una major, e forse questo qualcosa vuol dire...

[4] Sono un po' le sfighe di questa era digital-internettiana, fino a pochi anni fa una cosa del genere sarebbe stata semplicemente impensabile, lasciando così che questa musica fosse conosciuta solo dai pochi eletti che erano riusciti a procurarsi i vinili originali. Ah, bei tempi...

sabato 22 gennaio 2011

Due canzoni

Ma non due canzoni qualunque.
Quelle che per me sono le due più belle canzoni italiane degli ultimi 15 anni, e sono tutte e due di Stefano Giaccone.
Entrambe tratte dal suo primo disco "solo", quello pubblicato nel 1998 con lo pseudonimo di Tony Buddenbrook, "Le stesse cose ritornano".
E siccome la coerenza non è una virtù che molto mi interessi, metto qui i due "video" che ho caricato su YouTube e trascrivo pure i testi, che mi sembrano bellissimi.
Trovare il cd adesso non è facilissimo, ma se digitate "indieitalia" su Google potrebbe essere un buon punto di partenza per recuperarne una copia in m3p o pm3, una di quelle robe lì, digitali e orribili.
E se questi due pezzi non vi piacciono almeno un po', a mio parere potete anche cominciare a preoccuparvi: mica basta respirare per essere vivi.


Il sarto

Ci sarà tempesta dice il sarto
la sua forbice punta il cielo
la mia voce è una moneta di ferro
sepolta nella terra più lontana che so
nemmeno dopo un mese posso scambiarmi
per uno di qua, nemmeno dopo un mese
perchè cammino senza guardare
perchè il mare tra le cabine fa pensare

A qualcosa che ci dev'essere più in là
e bisogna avere occhi chiari e una poesia per ogni luna
o mille palchi o mille torri
per avvistare una vela che non so dire
come sarà, che colore avrà
perchè cammino senza guardare
perchè il mare tra le cabine fa pensare

E il sarto lui fuma, lui ha capito
che non c'è verità che non si possa tagliare o cucire
è solo un gioco di specchi, un gioco di specchi
un'altra estate che finirà

Pure il sarto, lui, è di un altro mondo
da trent'anni taglia stoffe nel modo più esatto
vive nella stanza in affitto con sua moglie
dentro un ritratto
nuvole nere ora ci coprono
ma lui di certo non le vedrà

Le vedo io riflesse negli occhiali scheggiati
come il suo mestiere che muore
ma la sua mano resta precisa come tagliasse qualcosa
solo per me

E il sarto lui fuma, lui ha capito
che non c'è verità che non si possa tagliare o cucire
è solo un gioco di specchi, un gioco di specchi
un'altra estate che finirà
un altro temporale che passerà





Cosa ci siamo persi
(Concerto in Sardegna)

Sprofondato in una nuvola grigia
che non capisco se è il fumo
o sono i miei pensieri
Nel salone del bar i soli che beviamo
gli arabi seduti sono statue
di sabbia e rancore
Non so perchè non riesco a scordare
le ultime parole dette
all'ombra della nostra fine
saranno gli occhi del ricordo
che bruceranno per primi
nella calce bianca dei giorni

Cosa ci siamo persi
come ci siamo persi

Da questo ponte è bello pensare
che laggiù nella notte
ci sono isole e montagne
La nostra voce ha un'ala spezzata
quattro muri di troppo e pazienza indurita
Da questo ponte è bello pensare
che qualcuno ci aspetta
magari solo per salutare
come vagabondi del Dharma, come Andrè Gide
come se Dio da lassù si mettesse a gridare

Cosa ci siamo persi
come ci siamo persi

Niente di niente, l'ultima bestemmia
adesso sono stanco anche di fissare le stelle
è l'amore che ci graffia e ci fa ammalare
o è la paura di non poterci lasciare
vedrai che domani anche questo cielo andrà bene
anche questo andrà bene, lo sai

Cosa ci siamo persi
come ci siamo persi



venerdì 14 gennaio 2011

Greil Marcus - Mystery Train. Visioni d'America nel Rock

Libro consigliato da Paolo Vites nella discussione relativa al post sui 40 anni di musica italiana.
Letto e non piaciuto, nonostante il brillante lavoro di traduzione.[1]

Non mi è piaciuto perchè l'ho trovato poco interessante, meglio: è scritto con un'impostazione critica che in questo momento mi interessa davvero poco.
Wikipedia (versione inglese) di questo libro dice: "Il suo libro del 1975, "Mystery Train", ridefinì i parametri della critica della musica rock. Il libro piazza il rock and roll nel contesto degli archetipi culturali Americani, da Moby Dick al Grande Gatsby a Stagger Lee."
Ed è proprio questo il problema: Marcus parla dei testi delle canzoni, mettendoli a confronto con le opere letterarie che definiscono la "cultura americana".

E' un libro in cui si parla fondamentalmente dei testi delle canzoni, e a me interessa la musica.
E' un libro che dovrebbe quindi piacere a parecchi di quelli che girano qui: non parla di musica, ma di tutto quello che c'è intorno, perdendo di vista quello che c'è al centro, parlando tantissimo dei testi, e di quello che ha ispirato quei testi e di quello che quei testi hanno ispirato, e soprattutto di quali pensieri questi testi abbiano ispirato all'autore del libro.
E' un approccio che trovo molto "giornalistico", condito con le classiche banalità da "critico musicale rock" (batterie incalzanti, chitarre taglienti, bassi rotolanti e via stereotipando).
Trovo difficile appassionarmi a questo tipo di scrittura, soprattutto dopo aver letto i libri di Franco Fabbri che mettono al centro del discorso sulla musica, pensa te, la musica!

Per fortuna ci sono anche cose per cui vale lo stesso la pena di leggere questo libro: ad esempio, la visione della società americana degli anni '70 "in diretta" (la prima edizione del libro è del 1975), oppure il capitolo su Elvis Presley "da vivo".
Ma sono cose che hanno poco a che vedere con la musica, anzi, l'approccio musicologico è completamente ignorato[2] a favore di un più banale approccio da critico/fan[3], e la visione della storia della musica di Marcus è fortemente nordamericocentrica[4].
Bontà sua, l'autore ammette che anche qualche inglese (Beatles, Rolling Stones, Clash) ha contribuito alla musica rock, ma questi li chiama "americani immaginari"...

L'analisi sociologica mi sembra appena abbozzata (i Padri Pellegrini, il linguaggio[5] del rock come reazione allo spirito calvinista della società americana) mentre più interessanti sono le parti in cui si parla delle lotte civili e del movimento di liberazione dei neri d'america.
Ma nel complesso, ripeto: un libro sulla musica che non parla di musica.
Parla di testi e contesti, aspetti sociologici e culturali, parla delle copertine dei dischi e della grafica.
E così, la parte più interessante per me è l'intervista che gli fa Paolo Vites in appendice.

Note e links:
[1] Non è uno scherzo, è tradotto piuttosto bene davvero, soprattutto da qualcuno che sa quando è giusto lasciare una parola inglese senza tradurla :)

[2] E' anche vero che lo IASPM è stato fondato solo nel 1981.

[3] Simile in questo, giuro che mi spiace scriverlo, allo stile di Lester Bangs, che in più scriveva quasi sempre di sè stesso, e quasi mai di musica.

[4] E fortemente limitata per al prospettiva storica che evidentemente non poteva avere 35 anni fa, quando oltretutto aveva solo 30 anni: Randy Newman? The Band?

[5] Proprio nel senso puro del termine: le parole delle canzoni...

lunedì 3 gennaio 2011

Cowboy Junkies - Sun Comes Up, it's Tuesday Morning

O è un caso oppure sono proprio i miei gusti ad essere fatti così, ma ogni volta che mi viene in mente una canzone per un post della serie "tecnica", comincio ad analizzare la canzone di cui voglio parlare e mi accorgo, ogni volta, che la struttura è semplicissima.
Anche "Sun Comes Up, it's Tuesday Morning" non sfugge alla regola: e sì che i Cowboy Junkies sono già di loro un gruppo anomalo.
Canadesi, e basterebbe questo ad essere strano per dei Cowboys, che in più sono anche "Junkies", tossicomani. Non esattamente la prima parola che si associa alla figura del Cowboy.

E parlando di musica, anche lì siamo solo vagamente dalle parti dei Cowboy: suonano piuttosto una via di mezzo tra il country, il blues e il folk, "americana" ma vent'anni prima che il termine diventasse di uso comune, e per fortuna avendo cura di non limitarsi mai ad essere esattamente nessuna di quelle cose.
Il mood delle canzoni è blues, malinconico, la strumentazione è country (la lap steel guitar, soprattutto), le canzoni stanno da qualche parte tra rock e folk.
Sono elettricamente acustici, e pure abbastanza noiosi sulla distanza di un album completo. Ma se penso ai Cowboy Junkies mi vengono in mente subito due canzoni straordinarie: la prima è una cover, "Sweet Jane" naturalmente (e naturalmente dei Velvet Underground), tratta dal primo leggendario album dei fratelli Timmins, quello registrato nella chiesa sconsacrata direttamente su un dat[1].
Grande interpretazione ed arrangiamento[2], lo stesso Lou Reed aveva detto che quella dei Cowboy Junkies era la versione del pezzo che lui preferiva.

L'altra canzone è, ovviamente, "Sun Comes Up, it's Tuesday Morning".
Tecnicamente, usa gli accordi di un blues (E A Bsus4), ma del blues non usa nè la struttura nè la cadenza. Non sono assolutamente esperto di musica country, ma da quello che sono riuscito a "scoprire" questa non è neppure una situazione troppo strana per il country.
Nessuna informazione ho trovato invece sulla seconda particolarità della canzone: è composta da due parti leggermente differenti, che potremmo forse identificare come Chorus I e Chorus II[3], che si ripetono alternandosi per tutto il pezzo, una dopo l'altra, quasi due parti complementari.
La prima parte (Chorus I - 8 battute) è:
E - A - B sus4 - A
E - A - B sus4 - A
la seconda parte (Chorus II - altre 8 battute) è:
A - E - A - E
A - E - B sus4 - A

Queste due parti si alternano per 5 volte durante la canzone, e il testo non si ripete mai, scorrendo in un racconto dall'inzio alla fine che ignora la diffferenza tra i due Chorus.
Una particolarità del canto di Margo Timmins è come lega la fine del secondo Chorus all'inzio del primo: le ultime parole vengono cantate sul primo accordo del Chorus seguente, e pronunciate senza soluzione di continuità con la prima parola del Chorus seguente, dopo la quale c'è una breve pausa che "stacca" le parole successive: questo rende ancora più indefinito il passaggio tra i due Chorus, che si legano in modo molto naturale uno con l'altro.[4]
Una breve intro strumentale e una coda finale (dominata dall'assolo di pedal lap steel) incorniciano un pezzo che, a distanza di tanti anni, non mi sembra aver perso nulla del suo fascino.


Note e links:
[1] Dat sta per digital audio tape, ovvero una parolaccia (un registratore che registra numeri, orrore...)

[2] Accidenti, un'altra parolaccia... Domando scusa, oggi mi scappano.

[3] Ho deciso di usare la terminologia proposta da Franco Fabbri (vedi ad esempio le parti dedicate nel libro "Il suono in cui vivamo" all'analisi strutturale delle canzoni di musica popular), la differenza tra la struttura Chorus/Bridge (C/B) e quella Strofa/Ritornello (S/R) va ben al di là della semplice differenza lessicale. Impossibile farne un riassunto in due righe, ma in estrema sintesi la prima è tipica delle canzoni pop/rock, mentre la seconda è tipica della "canzone italiana".

[4] Questo spostare la parte cantata rispetto al susseguirsi degli accordi strumentali è uno stile che si può sentire molto bene, ad esempio, in parecchie canzoni di Nick Drake.