sabato 25 dicembre 2010

Il marxista della CEI

Il mio sguardo è tarato, va sempre a chi è in fondo alla fila. Durante un'assemblea feci il mio intervento, che come al solito qualcuno ha scambiato per comizio politico: "Bisogna esaminare seriamente le situazioni degli emarginati, che il nostro sistema di vita ignora, persino coltiva. Anziani, handiccappati, tossicodipendenti, dimessi dal carcere e dagli ospedali psichiatrici: perché accrescere ulteriormente la folla dei nuovi poveri? Perché la società attuale risponde così poco a un’emarginazione clamorosa? Con gli ultimi e con gli emarginati potremo recuperare tutti un genere di vita diverso; demoliremo innanzitutto gli idoli che ci siamo costruiti: denaro, potere, consumo, spreco, tendenza a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Riscopriremo i valori del bene comune, della tolleranza, della solidarietà, della giustizia sociale e della corresponsabilità.
A quel punto, nel salone, si alzò in piedi un giovane prete e urlò: “Basta venire qui a fare il marxista. Rispetti l’ambiente cattolico in cui si trova e opera!”.
Allora risposi: “Mi scuso molto, ho dimenticato di citare la fonte:
La chiesa e le prospettive del Paese, documento del Consiglio Permanente della CEI, Roma, 23 ottobre 1981”.

(Tratto da "Come in terra, così in cielo", di Don Andrea Gallo, pagine 49/50)

Non c'entra molto con la musica, o forse sì, e comunque per oggi mi sembra un post molto adatto.
Buon Natale a tutti :)

martedì 21 dicembre 2010

Il "P.U.C."

Va molto di moda anche quest'anno, tra il popolo dei blog musicali, il "Pensiero Unico Certificato" (P.U.C.), che si basa su una generica condivisione acritica ben esemplificata dalla frase "siamo tutti d'accordo che...".
Usando quindi alcuni postulati (che non devono evidentemente neppure essere dimostrati) del P.U.C. uniti tra di loro dalle opportune congiunzioni e/o disgiunzioni subordinative o coordinative (quindi, dunque, nonostante, però, e, oppure, etc.) si possono scrivere millemila post che otterranno l'approvazione incondizionata ed entusiastica del 99,9% dei lettori del vostro blog.

E' con umile spirito di servizio che Vi offro dunque questo utile riassunto del P.U.C. ad uso e consumo dei bloggers.

I Led Zeppellin e i Pink Floyd sono mitici.
I Doors e i Rolling Stones sono leggendari.
Bob Dylan e Bruce Springsteen sono indiscutibili.
AC/DC e Deep Purple sono energetici e divertenti.
Eddie BanHalen e Jimi Hendrix hanno rivoluzionato la chitarra.

Ligabue, Jovanotti, Vasco Rossi e Pelù fanno schifo.
Lady Gaga fa gagare.
Gli italiani non sanno fare il rock, costituzionalmente.

I Boston, fanno schifo. Ma se piacciono a un vostro amico di blog, allora sono bravi.
I Kiss, fanno schifo. Ma se vi piacevano quando avevate 12 anni, allora sono bravi.
Tutto l'AOR/Hard/Heavy Metal, più è pacchiano e più è bello (soprattutto se vi piaceva quando avevate 12 anni).
Tutto quello che vi piaceva a 12 anni, è bello. Ma "oggettivamente" eh, e guai a chi pensa il contrario.

Se c'è il Jazz, c'è la classe.
Se vi piace e anche se non c'è il Jazz, è pop di classe.
Se c'è il Blues, ci sono le radici.
Se c'è il R'n'B, allora si può ballare.
It's only rock'n'roll but I like it.

La musica moderna fa schifo.
La musica elettronica fa schifo.
La musica dance fa schifo.
Se qualche musica moderna/elettronica/dance piace a voi, allora è bella.

I dischi in vinile suonano meglio dei cd.
I cd suonano meglio degli mp3.
I flac, non è bello sapere cosa sono.
E comunque, come la musica dal vivo non c'è niente.

Una canzone è bella se funziona con voce e chitarra.
La matematica è fredda e non ha nulla a che vedere con la musica.
La musica è emozione, non parlatemi di tecnica e tecnologia.
I sintetizzatori sono beceri.
Gli anni '60 sono mitici.
Gli anni '70 sono mitici.
Gli anni '80 hanno prodotto solo musica di plastica.
Gli altri anni non se ne parla proprio.

Gli arrangiamenti di archi rovinano le canzoni.
Gli arrangiamenti di ottoni rovinano le canzoni.
Gli arrangiamenti rovinano le canzoni.
Gli arrangiamenti di archi e ottoni di Burt Bacharach sono la quintessenza della "classe".

Se ci sono le chitarre è rock.
Se ci sono le chitarrone è hard rock.
Se ci sono le chitarrone turbo è heavy metal.
Il jazz rock è complicato da suonare, bisogna essere musicisti coi controcoglioni.
Il progressive è complicato da suonare, bisogna essere musicisti coi controcoglioni.
Il punk tre accordi e formi una band, non devi neanche sapere suonare.

Esempi:
I Doors e i Rolling Stones sono leggendari, invece gli italiani non sanno fare il rock, costituzionalmente.
Certo, se c'è il Blues, ci sono le radici, e infatti una canzone è bella se funziona con voce e chitarra.

Bob Dylan e Bruce Springsteen sono indiscutibili mentre Ligabue, Jovanotti, Vasco Rossi e Pelù fanno schifo.
Anzi, la musica moderna fa schifo: infatti, gli anni '60 sono mitici e gli anni '80 hanno prodotto solo musica di plastica.

I dischi in vinile suonano meglio dei cd: infatti, la matematica è fredda e non ha nulla a che vedere con la musica.
Perchè la musica è emozione, non parlatemi di tecnica e tecnologia: tutti sanno che gli arrangiamenti rovinano le canzoni

etc.

venerdì 17 dicembre 2010

Franco Fabbri e Stefano Giaccone

Franco Fabbri è il mio nuovo mito: in ogni suo scritto l'indice di cipp[1] è altissimo, probabilmente vicino all'uno.
Dopo aver finito "Album bianco" ho cominciato a leggere "L'ascolto tabù".
A pagina 184/185 trovo[2] (e trascrivo):

Stefano Giaccone è uno di quelli che mi piacciono di più. Un mio autorevole collega, quando gliene avevo parlato, mi aveva risposto ironicamente (ma non troppo): "Se non l'ho mai sentito nominare io, chi vuoi che l'abbia sentito nominare?"
Così ho fatto sentire ai giovani del centro sociale "Punto di Fine", di Stefano Giaccone, convinto di illustrare nel modo migliore possibile la capacità del Festival di Mantova di scoprire talenti. Il fatto è che tutti, lì, conoscevano benissimo Stefano Giaccone, e quando ho detto che aveva fatto parte del gruppo dei Franti, come Lalli (altra invitata a Mantova) ho visto tante teste fare cenno di sì: ma certo, Franti, come no? Il mio autorevole collega non conosceva nè Lalli (il cui album, prima dell'estate, è stato recensito entusiasticamente) nè i Franti.
Succede quindi, e ci vuole poco a immaginarlo, che la popolarità si ramifichi in contesti e pubblici diversi, e che un criterio unico sia difficile da formulare.
Tanto più in tempi come questi, in cui le vendite di dischi sono ridotte al minimo, anche per gli artisti apparentemente più famosi, cosicchè può facilmente accadere che album semiclandestini di piccole etichette abbiano una circolazione superiore a certi album pubblicizzati dalle majors.


Franco Fabbri che parla di Stefano Giaccone, Lalli e Franti: cosa si può trovare di meglio in poco più di una pagina di un libro?


Note e links:
[1] "Cose intelligenti per paragrafo": un indice di cipp di 0,5 vuol dire una cosa intelligente ogni due paragrafi, ed è già notevolmente alto.
Lo scrittore/giornalista/blogger medio, me compreso ovviamente, viaggia intorno allo 0,01 (una cosa intelligente ogni 100 paragrafi), quando non riesce magicamente a raggiungere indici negativi, la cui interpretazione rifugge all'umana logica.

[2] E' un articolo che parla della prima edizione del Mantova Musica Festival (2004) e della presentazione fatta durante una conferenza tenuta in un non meglio specificato Centro Sociale.

[3] Di Stefano Giaccone e dell'universo che fa capo ai Franti ho già scritto diverse volte su Place to Be.
La maggior parte delle loro cose le potete trovare su stella*nera, ne ha già accennato Enrico nei post su Marco Pandin.

mercoledì 8 dicembre 2010

Lo strano caso dei dischi in vinile e dei delay digitali

Credo che esista una vasta non-conoscenza di argomenti tecnici legati alla musica anche tra chi si dice "appassionato", sia per quello che riguarda gli aspetti musicali in senso stretto (composizione, arrangiamento) che per quello che riguarda gli aspetti tecnici legati alla realizzazione dei supporti fonografici (registrazione e produzione fisica).
Secondo me, sono cose che aiutano a capire meglio la musica. Probabilmente lo penso solo perchè sono sbruffone e pedante, ma con la mia tipica spocchia ne parlo lo stesso.

Quindi, come si produce un disco?
In sintesi:
1 - Si registrano i diversi strumenti su un registratore multitraccia (multitrack recording)
2 - Si mixa la registrazione su due tracce (mixdown o stereo mixdown)
3 - Si masterizza il mixdown (master)
Il "master" può essere differente tra la produzione di un cd o di un vinile.

Partendo dal master, per produrre un cd:
4 - Si prepara un "Glass master" (immagine positiva)
5 - Dal Glass master si ricavano diverse matrici di stampa, in metallo (immagine negativa)
6 - Dalle matrici si ricavano, per mezzo di una pressa, i cd (immagine positiva)

Per produrre un vinile:
4 - Dal master si ricava la "lacca" (lacquer) tramite un apposito "giradischi" (lathe cutting) (immagine positiva)
5 - Dalla lacca si ricava la "matrice" (master matrix) (immagine negativa)
6 - Dalla matrice si ricavano le "madri" (mothers) (immagine positiva)
7 - Dalle madri si ricavano le "stampatrici" (stampers) (immagine negativa)
8 - Dalle stampatrici, per mezzo di una pressa, si ricavano i dischi in vinile

Per una web release
4 - Si mette online una copia del master, codificata in mp3 o flac (o uno dei diversi formati audio possibili)

Naturalmente, ogni passaggio da 1) a 4) può essere fatto in forma analogica o digitale.
Più probabilmente, mista.
L'argomento di cui vorrei discutere oggi è quello che succede nella fase che porta da 3) a 4)

Abbiamo il nostro master (su nastro o su file), equalizzato e ben livellato, con i pezzi in sequenza pronti per essere messi su un "disco".
Diciamo che per ragioni nostre vogliamo realizzare un disco in vinile.
Ci rechiamo in uno studio in grado di trasferire il nostro master su una lacca.
Al giorno d'oggi, il master è caricato su una DAW[1], elaborato all'interno del dominio digitale e splittato in due segnali identici: uno che va al computer che calcola la distanza tra due solchi successivi, e l'altro, ritardato del tempo necessario ad una rotazione del piatto, al cutter della lacca.
Le risoluzioni usate dalla DAW sono generalmente 24 bit a 44,1 Khz.
Cioè, neppure quelle risoluzioni "estreme" (e completamente inutili) che i costruttori di apparecchiature audio "spingono" (32 bit a 192 Khz) per poter vendere qualcosa di nuovo...
Cioè 2, praticamente tutti i "vinili" prodotti adesso sono generati a partire da un segnale digitale.

Ma la cosa più bella è che fino agli anni '70 per il cut delle lacche si utilizzavano macchine costosissime a doppia testina (tipicamente Studer) che generavano due segnali identici, uno per la lacca ed uno per il controller che decide lo spazio tra i solchi.
Per far funzionare il tutto, i due segnali dovevano essere perfettamente identici: e quindi era necessario avere, oltre al registratore, due set identici per il percorso del segnale: ovvero compressori, limitatori ed equalizzatori doppi, e un banco mixer con un doppio percorso per il segnale: in sintesi, costava una paccata assurda di soldi, e gli studi di cut erano pochissimi.

A inizio anni '70 iniziò la commercializzazione dei primi delay digitali: il primo in assoluto fu, nel 1971, il Lexicon Delta T-101 (banda passante di 10 Khz e s/n ratio di 60 db, ovvero, in termini odierni, una ciofeca, ma per l'epoca una rivoluzione).
In capo a pochi anni i delay digitali erano diventati abbastanza economici da poter essere usati in alternativa ai registratori a doppia testina: l'uscita dal mixer veniva splittata in 2, il segnale diretto ("analogico") veniva mandato al controller dello spazio tra i solchi, e il segnale in uscita dal delay ("digitale") veniva mandato al cut della lacca.
Ovvero, la lacca veniva incisa a partire da un segnale digitale, generato da un delay con caratteristiche tecniche largamente inferiori a quelle di una qualsiasi scheda audio integrata di un computer economico di oggi.
Da metà degli anni '70 in poi, il 99% dei dischi in vinile è stato realizzato così: partendo dal segnale digitale di un delay probabilmente a 14 bit, con ADC e DAC[2] di qualità comparabile.
Tutti dischi etichettati come "AAA" quando si usava riportare sul media il percorso di generazione del segnale.

Una registrazione completamente analogica, al giorno d'oggi, è praticamente impossibile: a un certo punto del percorso, il segnale passerà da qualche apparecchiatura digitale.
Voi comunque, continuate pure a parlare di superiorità di quello che volete e a illudervi che i dischi in vinile suonino meglio dei cd e degli mp3: il vantaggio della patafisica è che le spiegazioni non devono avere niente a che fare con la realtà...


Note e links:
[1] Digital Audio Workstation, cioè un computer con un software apposito o un apparecchio hardware dedicato.
una volta si definivano semplicemente "sequencer", adesso fanno molto di più ma sono fondamentalmente ancora la stessa cosa: registratori, più o meno sofisticati, di segnali midi o audio.

[2] Analog to Digital Converter e Digital to Analog Converter, cioè i due componenti che trasformano un segnale da analogico a digitale e da digitale ad analogico.

[3] Quelle scritte qui sopra sono naturalmente amenità e solita solfa di annessi e connessi.
La parte dei delay digitali usati per le lacche la trovate ad esempio descritta in questa intervista a Bob Weston, ex-componente degli Shellac di Steve Albini.
La parte sui primi digital delay e sulle loro specifiche tecniche è tratta da questo articolo sul Lexicon Delta T-101.

martedì 7 dicembre 2010

I pastori dell'Arcadia e la musica moderna

Ci sono alcune malattie che la scienza medica ufficiale non ha ancora studiato approfonditamente, ma delle quali mi sembra corretto occuparsi in quanto riguardano molto da vicino gli "appassionati di musica", in particolare quelli adulti di sesso maschile.
Facciamone una veloce panoramica.

1. Sindrome mistica da consumismo affettivo-retroattivo
Colpisce di solito intorno ai 50 anni, quando cominci a parlare di quanto sei affezionato e quanti ricordi ti legano ai contenitori e non più ai contenuti.
Unita ai sintomi della successiva sindrome di cui al punto 3), ti porta a dare valori assolutamente spropositati al barattolo che contiene la marmellata, inventando giustificazioni risibili (colori, odori, sapori - appartenenti al barattolo...)
Si applica in particolare ai supporti di diffusione legati al mondo dell'arte (musica, letteratura, arti visive, etc.): prende la forma di rimpianto per il vinile, per il libro di carta, per la videocassetta, per il cinema fumoso e via di seguito, confondendo allegramente i mezzi che hai conosciuto da giovane con il messaggio da loro veicolato.

2. Sindrome da collezionismo ossessivo-compulsivo
Questa sindrome, tipicamente maschile, è una malattia con un decorso eccezionalmente lungo: si manifesta fin da subito dopo l'infanzia, e non gode mai di remissione.
Porta a voler possedere ogni cosa riguardi uno specifico argomento: dalle figurine dei Gormiti ai giornalini di Topolino, dai tappi delle bottiglie di birra alle registrazioni dei concerti dei Boss (e sono perfettamente d'accordo che l'ultima mania sia incomparabilmente meno sana delle precedenti...)
Peggiora sensibilmente verso i 50 anni per l'influenza perniciosa della sindrome già descritta al punto 1), che porta a voler avere ogni registrazione esistente, per dire, degli Animals.
Ma nella prima versione originale inglese, possibilmente dischi con numero di matrice appartenente allo stamper originale, con copertina intonsa ed idealmente mai suonati.
Se ancora avvolti dal cellophane originale diventano feticci da ammirare (non da ascoltare, ovvio).
Se invece, come quasi sempre accade, già ascoltati, gli inevitabili fruscii, click e salti del vinile vengono apprezzati in quanto testimoni del "carattere" e della "autenticità" (?) del supporto stesso.
Quando accoppiata con una maggiore disponibilità economica tipica della condizione adulta, genera mostri come i famigerati "acquirenti di cofanetti celebrativi de-luxe edition", una evoluzione (?) della specie Homo Sapiens-Sapiens (e qui, accipicchia, come non riandare con la mente alle teorie de-evolutive propugnate dai Devo?)

3. Sindrome da "non ci sono più i xxx di una volta/ai miei tempi sì che"
Questa è indubbiamente la peggiore. Subdola e maligna, si impadronisce di - più o meno - chiunque, intorno al giro di boa dei 50 anni.
Combinata con le due precedenti, ti porta non solo a sopravvalutare acriticamente qualsiasi cosa sia legata alla tua gioventù (diciamo 15-25 anni), ma anche a disprezzare parallelamente qualsiasi cosa sia invece, anche solo vagamente, "giovane", "nuova" o "moderna".
Le due ultime parole acquistano immediatamente un valore assolutamente negativo, e quasi senza provare vergogna ti viene la tentazione di accusare i "ragazzi d'oggi" di avere tagli di capelli orribili e di vestirsi male ("barbùni e cavelùni").
Cominci a dare valore a qualsiasi cosa ti ricordi i tempi in cui eri giovane davvero: ormai non puoi più illuderti di esserlo ancora, e allora partono rimpianti, nostalgie ed invidie (se sei intellettualmente onesto, ovvio; se no puoi continuare a far finta di essere ancora un "ragazzo")
Il valore intrinseco della "cosa" (che può essere un 45 giri di Patrick Juvet o gli LP dei Led Zeppelin, il Fantic Caballero 50 Regolarità Casa 6 marce, il telefilm "Furia", etc.) non ha evidentemente nessuna importanza: era tutto meglio.
Perchè anche le cose "brutte" non erano brutte davvero: erano magari "tenere" e "kitsch" e via scusando.
Mentre quelle brutte e basta, le hai semplicemente dimenticate (o non conosciute, quando il rimpianto si sposta addirittura a tempi che non hai vissuto direttamente).
Corollario irrinunciabile: le cose "moderne" fanno schifo.
Nel migliore dei casi, spazzatura.

Ho letto, in questi mesi di frequentazione dei blog, diverse argomentazioni sui "giovani" e sulla "musica moderna" che mi hanno causato forti bruciori di stomaco.

Ho letto che il movimento "mod" (i "modernisti"! Quelli che si opponevano alla tradizione e davano valore ad ogni cosa nuova!) adesso trova il futuro nel passato, recuperando e guardandosi indietro, con un elegante ribaltone di 180 gradi rispetto alle idee originali.
I mod di oggi sono vecchi consolidati che apprezzano solo quello che era nuovo 50 anni fa.

Ho letto cose assurde su vinili, cd e mp3, ma anche su libri e libri elettronici.
Discussioni sulla superiorità tecnica del vinile rispetto al cd (vedi sopra).
Discussioni che sostengono l'assoluta superiorità della carta sul formato elettronico, tenute in formato elettronico sul web!...

Ho letto accorate lamentele sui "giovani d'oggi" che non sono mica come eravamo noi alla loro età, eh no! Noi si che etc.
Ho letto le stesse cose dette perfino da Pier Paolo Pasolini (!) che si lamentava della pochezza dei "giovani d'oggi". Che, visto quando si lamentava, sarebbero i 50/55-enni di adesso, quelli che "noi si...".

E ogni volta mi vengono in mente due cose:
1. L'aforisma di Bernardo di Chartres "siamo nani sulle spalle di giganti", che è del XII secolo.
Se già loro si ritenevano nani, noi oggi cosa siamo?
2. Chi ha fatto il classico (o lo scientifico) dovrebbe essere venuto in contatto con "Le Bucoliche" di Publio Virgilio Marone (quello dell'Eneide), scritte nel 38 a.c.
Vi si parla dei buoni vecchi tempi, dei pastori dell'Arcadia, dell'età dell'oro, di quanto tutto era meglio "prima"... e sul modello degli "Idilli" di Teocrito (270 a.c.) che a sua volta si era ispirato etc. etc.

Dopo tutti questi anni, siamo ancora lì.
Arriviamo a 50 anni e scopriamo che le cose migliori in assoluto, in tutti i campi, sono già state fatte.
Invariabilmente, più o meno 25/30 anni prima. Dopo, solo rimasticature e decadenza.
Quindi le cose migliori della musica rock sono state fatte, a seconda dell'età dell'interlocutore, negli anni '50 da Presley e co., oppure dai Beatles e dai Rolling Stones nel 1965, dai Genesis nel 1972 o da David Bowie nel 1973, dai Clash nel 1977 o dai Joy Division nel 1980, e via di seguito. L'importante è aggiungere sempre che, dopo, è tutta spazzatura.

E siccome "noi" che abbiamo più o meno 50 anni adesso siamo "quelli del rock", che in teoria erano contro la banalità e l'establishment, mi viene una grandissima tristezza a vederci trasformati nell'equivalente brontolone dei "matusa" di quando eravamo giovani noi, che a loro volta etc.

In sintesi, le tre sindromi si possono riassumere in una sola parola: rincoglionimento.
Dio volendo, spero di risparmiarmelo (e non vale scrivere nei commenti che non ho motivo di preoccuparmi perchè ci sono già...)

mercoledì 1 dicembre 2010

The Beatles - Strawberry Fields Forever

Esistono numerosi racconti della registrazione di "Strawberry Fields Forever": la storia è piuttosto conosciuta, e le fonti sono facilmente reperibili e consultabili[1].
Ma visto che non necessariamente tutti la conoscono già, provo a raccontarla anch'io.

Conoscere la storia della registrazione di "SFF" è stata la molla che mi ha spinto ad approfondire almeno due argomenti:
- cosa vuol dire veramente "usare" uno studio di registrazione, quali sono le possibilità creative che la registrazione porta con sè, in quale modo sia possibile espandere le possibilità offerte dalla tradizione[2];
- i Beatles oltre il "scilovsiu iè iè iè", che avevo sempre loro associato: il loro modo di suonare e comporre già a metà degli anni '60 era di una modernità assoluta. E' incredibile la quantità di cose che hanno inventato (loro e i tecnici di Abbey Road) in quegli anni di assoluta libertà creativa conseguente al successo mondiale, che li aveva resi liberi di fare qualsiasi cosa avessero voluto[3].

La registrazione di "SFF" appartiene, storicamente e creativamente, a "Sgt. Pepper", dal quale fu estrapolata come singolo insieme con "Penny Lane"[4].
Quindi, registrazione fatta con riversamenti successivi ("bouncing") da un 4 tracce ad un altro, e contemporanea sovraincisione di altre parti strumentali durante il bouncing stesso.

La canzone che tutti conoscono è fatta da tre diverse sezioni, tagliate ed incollate insieme, in uno dei più incredibili editing mai fatti con forbici e nastro adesivo.
I Beatles avevano registrato una prima versione di "SFF" (take da 1 a 7), poi John Lennon aveva chiesto a George Martin di scrivere un arrangiamento per archi ed ottoni, e avevano in seguito registrato una seconda versione della canzone (take fino a 26)
Le tre sezioni sono le seguenti:
- dall'inizio a 0:55 è usata la take 7;
- da 0:55 a 1:00 è usata un'altra parte della take 7;
- da 1:00 alla fine è usata la take 26.
La take 7 è la prima versione della canzone, in A, più lenta (29 novembre 1966)
La take 26 è la seconda versione, in C, più veloce, con l'arrangiamento di ottoni ed archi (9 dicembre, e arrangiamento archi e ottoni 15 dicembre)

Nessuna delle due versioni convinceva Lennon, ma per un caso quasi incredibile, quando John chiese a George Martin di "appiccicare insieme" l'inizio della prima versione con il resto della seconda, si notò che accelerando leggermente la prima e rallentando la seconda si riusciva ad avere un tempo compatibile e a portare le due parti nella (quasi) stessa tonalità[5].

Allora: a 0:55 dall'inizio, nella take 7 John canta "Let me take you down, 'cause I'm" e qui c'è il taglio con la take 26, da cui vengono le seguenti "going to, Strawberry Fields".
Il punto esatto è stato scelto anche per il modo in cui Lennon canta il verso, con una leggera pausa prima di "going to" e gli strumenti che riprenodono a suonare durante le parole "cause I'm".
Le due parti, come già detto in tonalità e tempo differenti, sono unite in modo così magistrale che quasi nessuno capisce dov'è il taglio finchè non gli viene detto esplicitamente. Io, ad esempio, non l'avrei mai nemmeno sospettato.
Subito prima, c'è un altro taglio "minore", da 0:55 a 1:00, dovuto al fatto che nella take 7 dopo la prima strofa c'era direttamente la seconda, senza il ritornello.
Così si è preso l'attacco del ritornello da una parte successiva della take 7, per poter effettuare il taglio tra le due versioni "in mezzo" alla frase, piuttosto che alla fine della frase, rendendo il tutto meno evidente, meno ovvio.

Oggi alterare la tonalità di una canzone senza toccare il tempo o, al contrario, alterare il tempo senza toccare la tonalità è una cosa facilissima, allora era semplicemente impossibile: alterare una cosa voleva dire alterare anche l'altra.
Essere riusciti a mettere insieme due pezzi così diversi in una sola canzone come hanno fatto qui i tecnici[6] di Abbey Road è un specie di magia, ottenuta solo grazie a un mix incredibile di professionalità, abilità e fortuna nel realizzare tecnicamente quello che i Beatles immaginavano artisticamente.


Note e links:
[1] Le fonti usate per questo post sono fondamentalmente tre:
- L'articolo Strawberry Fields Forever di Joseph Brennan;
- Il libro "The Complete Beatles Recording Sessions: The Official Story of the Abbey Road Years" di Mark Lewisohn, disponibile anche in italiano come "Otto anni ad Abbey Road";
- La memoria di un articolo di Franco Fabbri sulla registrazione di "SFF", probabilmente nel libro "Il suono in cui viviamo" - che non trovo più, appena ho tempo controllo in biblioteca.

[2] Composizione, arrangiamento, esecuzione. Lo metto in nota così si vede di meno, se no i duri e puri di "una canzone è bella se funziona solo con voce e chitarra" ci rimangono male e mi dicono che sono antipatico...

[3] E ne hanno approfittato eccome, di questa libertà, inventando praticamente da soli l'evoluzione dal "rock'n'roll" al "rock". Anche questo potrebbe essere un buon argomento per un futuro post.

[4] A mio modo di vedere, il singolo definitivo. E, curiosamente, il primo da "Love me do" a non finire al primo posto in Inghilterra.
Entrambe le canzoni sono state in seguito recuperate sulla versione "lunga", per gli USA, di "Magical Mystery Tour".

[5] Quasi, eh: la seconda parte non è esattamente nella stessa tonalità della prima, ma abbastanza perchè il 99% delle persone non se ne accorgesse, e abbastanza da fare impazzire chi cercasse di suonare "sopra" il disco: la vera tonalità del brano è da qualche parte tra B e Bb.

[6] Ovvero: il produttore George Martin e i due sound engineer Geoff Emerick e Dave Harries.