venerdì 26 ottobre 2012

Contemporaneità, ora e allora

Non è la prima volta che succede: anche questo post nasce da un commento lasciato qualche giorno fa sulla "Teiera Volante" di Lucien.
Perchè a volte si comincia un discorso che a me sembra interessante e si abbandona troppo presto o senza raggiungere nessuna conclusione.
L’argomento è "come i contemporanei parlano del loro stesso tempo", come è ovvio con particolare riferimento ai discorsi sulla musica.
Ovvero: per quello che ricordo io[1] negli anni '70 si parlava di quegli stessi anni come dei peggiori per la musica, dopo i fasti degli anni '60.
Trent’anni dopo, gli anni '70 sono diventati "leggendari" come il decennio precedente.
E quello successivo.
E come è successo a quello precedente a quello precedente, e come succederà a quello successivo a quello successivo, (ad. lib.)
Magari mi ricordo male.

E allora, leggiamo ad esempio l'introduzione dell'articolo[2] intitolato "Il cimitero degli elefanti", scritto da Blue Bottazzi[3] sul Mucchio Selvaggio nr. 24, Novembre 1979.

"Gli scaffali della mia discoteca sono più o meno polverosi a seconda di quanto sono frequentati. L'angolo più polveroso, è quello dei dischi di soft britannico, il rock sinfonico inglese della prima metà dei settanta. Forse ancora più polveroso di quello dei dischi tedeschi.
Se soltanto sto a confrontare questi dischi con il beat, o il blues revival, tutta musica inglese più antica anagraficamente ma ben più longeva e stimolante, mi domando se tutto il materiale registrato all'epoca '69 - '75 sia stato inutile, una mera perdita di tempo nei confronti del rock.
A parte che è meglio rinunciare a perdere il tempo domandandoci se qualche cosa sopravviverà di questa nostra musica che per la gran parte è solo pop di consumo, è vero che i risultati musicali dell'epoca, tradotti in canzoni, sono già inascoltabili oggi."


Poi passa a parlare più o meno male di Moody Blues, King Crimson, Genesis, Yes, Pink Floyd, ELP, Van Der Graf Generator, Gentle Giant, Jethro Tull, del jazz-rock degli allievi di Miles Davis e della "vecchia" Grace Slick.

Bene.
Io di articoli di questo tenore ne ricordo a decine.
Ricordo il clima generale,[4] che è ben riassunto dall'articolo di Blue Bottazzi.

E ricordo, mutatis mutandis, che gli stessi discorsi che si fanno adesso si sono fatti negli anni '80 e '90 e '00: che musica di merda che c'è adesso, prima sì che.
Probabilmente anche negli anni '60, ma lì non posso ricordarmi: c'ero ma non avevo ancora imparato a leggere.

Ad avere tempo e voglia, potrei citare decine di articoli delle riviste che ho ancora in cantina (Mucchio Selvaggio, Rockerilla e altre) che parlano degli anni '70 e '80 e '90 e... allo stesso identico modo.
Io sono sicuramente noioso, ma possibile che a nessuno venga il dubbio che questa costante, incessante ripetizione delle stesse "posizioni critiche" sia irrimediabilmente stupida?


Note e links:
[1] Io sono nato nel 1963, perciò quando parlo dei "miei" anni '70 musicali faccio riferimento alla seconda metà, che nella prima ero troppo piccolo per interessarmi di musica (anzi, in realtà per interessarmi di qualsiasi cosa diversa dal giocare. A pallone, possibilmente. Ma andava bene anche tutto il resto)
Nel '77 finisco le medie, comincio il ginnasio, insomma "cresco" (sempre ammesso che etc.)
Di lì a poco comincio a interessarmi di musica "seriamente".

[2] L'originale è liberamente scaricabile da questo link, insieme a decine di altri articoli dei primi anni del Mucchio Selvaggio.

[3] Di cui su questo blog si è parlato male, certo, ma quando era giovane mica scriveva su "Suono" come adesso...

[4] E il clima generale[5] era grosso modo questo: il punk e la new wave come reazione alla pessima musica degli anni precedenti: glam, tardo hippismo, hard rock tamarro, progressive, disco-music (la febbre del sabato sera, cazzo!) e via dicendo.
Per la riscoperta del funk, del soul e della disco music, ripassare più tardi. Al momento, gli idioti andavano in discoteca, gli altri compravano i dischi rock.

[5] Non sto dicendo che questo modo di vedere le cose fosse senz'altro giusto: questo è il clima che ricordo io e che ritrovo nell'articolo di cui si parla nel post.

40 commenti:

Lucien ha detto...

Lui però parla di musica precedente.
Sono curioso, visto che l'articolo è del 1979, di sapere cosa ne pensava della musica attuale di quel periodo: post-punk, new wave, ecc..

Per alcuni gruppi, col senno di poi, (ma anche di allora) sono d'accordo; la spinta innovatrice del progressive, quando si è esaurita, ha prodotto delle schifezze.
Certo che indicare come "polverosa" la musica dei King Crimson. Mah...

allelimo ha detto...

Vabbè dai, stiamo parlando di tre anni di differenza, vedi anche la nota 1: l'articolo parla fondalmente di roba contemporanea a quando è stato scritto.
Col senno di poi, tutto si può rivedere, certo: è la tesi del post :)
Ma i giudizi sui singoli gruppi non sono importanti, è il clima generale che traspare dall'articolo che mi sembra interessante: anche negli anni '70 si parlava della musica contemporanea come di musica del cazzo, e quarant'anni dopo il decennio è diventato "leggendario".

loopdimare ha detto...

si dimentica che tutti gli anni 60 sono stati terra vergine da scoprire.
i manager erano stati presi in contropiede ed avallavano qualsiasi cosa, consentendo anche a musica non proprio di consuno di svilupparsi.
successivamente, una volta che il business si è consolidato, una nuova generazione di manager ha diretto lo sviluppo, cercando di "gestire" la nuova musica.
quindi meno spazio alle novità perchè molto era già stato detto e perchè si erano creati degli standard di riferimento.
più passa il tempo e più i margini del nuovo si annullano, lasciando spazio per le riletture. inoltre il mondo che compra non è più prevalentemente bianco anglo-americano: è meticcio e globalizzato e sono cambiati i gusti.

allelimo ha detto...

loopdimare, non sono tanto d'accordo.
Credo che tu abbia una decina di anni più di me, e mi sembra che il tuo intervento ricrei, un'altra volta, l'equivoco basato su quando tu eri adolescente.

Negli anni '60 la musica era terra vergine da scoprire per il loopdimare quindicenne, come lo era negli anni '70 per l'allelimo quindicenne, etc., come lo è adesso per il quindicenne di oggi che sta cominciando ad appassionarsi alla musica.

Poi certo, il quindicenne degli anni '60 e il quindicenne del 2012 faranno percorsi molto diversi, non fosse altro per la massa di musica genericamente "rock" prodotta negli ultimi sessant'anni.

Ma il margine del nuovo, gli standard e le riletture dipendono solo dalla conoscenza delle singole persone.
Qualsiasi ventenne che suona la chitarra in un gruppo crede di sapere tutto della musica, e invece deve ancora scoprirne la grande maggioranza.
Ma, anche per questo, osa: scrive e canta le sue canzoni, crea i suoi "revival" e i suoi miti.

Col passare degli anni muta il TUO rapporto con la musica, non il rapporto della musica col mondo.
Quello con cui non sarò mai d'accordo sono le posizioni che pretendono di fornire una storia della musica equiparando il passato al presente, e rimproverando al presente la mancanza di storicità.
Perchè è la storia stessa che ne dimostra, decennio dopo decennio, l'assurdità.

brazzz ha detto...

azz ma blue recidiva eh?
chissà che scriveva del boss nel 75..ah ah ah...
comunque alle hai ragione..non se ne può di questo tipo di logica..personalemnte ricordo benissimo gli articoli del mucchio del 79 che smerdavano la new wave..parlare bene delle cose,in genere,a babbo morto è semplice,ovvio,e patetico,e testimonia una inquietante tendenza a perdere i treni,e a mostrarsi x quel che si è.degli inguaribili conservatori,e pure pigri...

allelimo ha detto...

brazzz, meno male che non son l'unico a ricordare quel tipo di commenti... punk e new wave sono stati definiti come rumore inascoltabile in centinaia di articoli dell'epoca, Mucchio Selvaggio e Buscadero in prima linea...
Quello che ho riportato io ha però due grandi meriti:
1 - l'ho trovato sul web, senza perdere tempo a rovistare in scatoloni in cantina...
2 - da uno sguardo "da contemporaneo" su un periodo di cui adesso si dicono meraviglie: glam, prog, "classic rock", etc.

Unknown ha detto...

Non posso portare esperienza diretta; leggendo Apaty for the devil (autobiografia tra il 1970 e il 1979) di Nick Kent l'impressione è la stessa che esprime alle: faccio un paragone un po' generico: il tempo riesce a trasformare un vecchio mobile orrendo in un pregiato pezzo d'antiquariato. Bisogna capire se quel pregio sta in qualità "intrinseche" dell'oggetto o nel fatto che rappresenti qualcosa per la memoria delle persone.

allelimo ha detto...

Evil Monkeys: ovviamente, l'unica risposta possibile è "dipende".
Però la maggior parte delle volte è la seconda che hai detto: "effetto madeleine", che in musica è particolarmente diffuso.

loopdimare ha detto...

quello che ho scritto io è stato travisato o non recepito.
quando parlo di terre inesplorate negli anni 60, parlo di una cosa oggettiva: il rock & roll nasce a metà anni 50 e da lì parte tutta la nuova storia. prima NON c'era una musica per giovani e la musica popolare era Sinatra e Daris Day e la gente ballava con le orchestre swing di Benny Goodman e Glenn Miller.
questo per dire che non c'erano punti di riferimento e tutto nasceva in quegli anni. per cui i ragionamenti non potevano che essere diversi.

allelimo ha detto...

No loopdimare, era chiarissimo, e la mia risposta proprio a quello che intendevi tu si riferiva: gli anni '60 non erano terre inesplorate, proprio perchè il r'n'r era già nato negli anni '50.
E il rock degli anni '60 è solo stato lo sviluppo di cose che c'erano già tutte negli anni precedenti: blues, folk, country, jazz, mettici quello che vuoi: c'era già.
Le uniche terre inseplorate sono, da sempre, quelle della nostra conoscenza.

Cirano ha detto...

gioca molto l'effetto nostalgia; personalmente credo che quella degli anni settanta sia stata una stagione irripetibile.

allelimo ha detto...

Cirano, quanti anni hai?

DiamondDog ha detto...

Tu vedi la musica come un continuum che si ripete all'infinito, con una visione ciclica.
E' un punto di vista lecito.
Io tendo ad essere più evolutivo, come loop, almeno quando stringo il focus su un genere.
La storia del rock non è sinusoidale, è una parabola convessa che ormai è nella fase discendente.
Se parliamo di "rock", inteso come genere socio-musicale.
Se parliamo di tutta la musica hai ragione te, corsi e ricorsi si rincorrono senza sosta e tutti tendiamo a mitizzare i nostri paladini di quando eravano giovani.
Le due visioni non sono incompatibili dipendono solo da che punto di osservazione ti poni.

loopdimare ha detto...

io ritengo il rock/pop una musica ciclica in quanto tendenzialmente giovanile. musica che periodicamente ripesca nel passato, apportando modifiche più legate ai tempi.
la cosa non mi scandalizza visto che è musica di consumo ed anche perchè trovo che il concetto "evolutivo" sia ormai superato, sia nella musica come nella società.
ci sono cambiamenti ma non sono sempre verso il meglio (o verso il peggio).
quanto agli anni 60, è vero che sono stati assemblate musiche che già esistevano, ma esistevano minoritarie e separate. gli anni 60 hanno portato tutto alla ribalta dal soul al country rock, dal folk alle ballate (riviste in chiave folk o pop) al blues. per non parlare della psichedelia o della musica concreta. un gran calderone che in 6/7 anni ha esplorato quasi tutto ad una velocità eccessiva, lasciando alle generazioni successive il compito di rileggere il tutto con più calma.
e comunque giudicare la musica contemporanea è sempre più difficile che giudicare quella passata, se non altro per la mancanza di prospettiva, per cui magari si fa a botte per un artista che nel tempo si dimostra un bluff e si sottovaluta un altro che magari viene fuori col tempo.
e poi c'è anche il fatto dell'abitudine: si fa il callo a tutto, anche alla brutta musica che col tempo diventa evocatrice di nostalgia. niente di male, basta solo evitare di confondere i tipi di emozione che suscita...

allelimo ha detto...

DiamondDog, direi proprio di no, come dimostra anche l'intervento di loopdimare.
Io vedo la storia della musica come un evoluzione continua: si costruiscono cose nuove a partire da quelle vecchie.
Mai parlato di continuum ciclico nè di corsi e ricorsi: l'unica cosa ciclica è il modo di approcciarsi delle persone alla musica, che si ripete decennio dopo decennio, e dipende fondamentalmente solo dall'età di chi parla.
Tu vedi la storia della musica rock come se fosse una curva del ciclo di vita di un prodotto, ma deve essere una deformazione professionale...

loopdimare, stavolta sono d'accordo con quanto scrivi a proposito degli anni '60 (a parte il fatto che sia stato esplorato tutto) e a proposito della difficoltà di giudicare la contemporaneità, che per inciso è il tema principale del post.
Sull'abitudine e la nostalgia, ci sono urtroppo decine di blog e riviste che dimostrano che col passare degli anni le persone confondono sempre più la qualità della musica con la nostalgia da essa evocata...

La visone ciclica, non sono d'accordo, ma l'ho già detto qui sopra a DiamondDog: tutta la storia della musica è fatta di evoluzione.

allelimo ha detto...

Dimenticavo la citazione.
Zhou Enlai, 1972:
"La rivoluzione francese? Troppo presto per formulare un giudizio!"
Noi invece, giù giudizi sull'oggi...

SigurRos82 ha detto...

Col tempo tendo sempre più a pensarla come allelimo: è fondamentalmente il nostro approccio la variabile, approccio che senza dubbio è radicato in un certo contesto culturale e in un dato periodo. Con ciò non intendo privare di specificità i vari momenti che caratterizzano la storia e l'evoluzione della musica, ma qualsivoglia 'storia' è pur sempre una cotruzione, più o meno condivisa. La descrizione della musica sta nell'occhio dell'osservatore (e/o degli osservatori), anzi, meglio, nelle loro orecchie ;)

allelimo ha detto...

SigurRos82, l'hai detto bene: è il nostro approccio la variabile, ed è strettamente correlato con la nostra età.
Infatti vedi che, "invecchiando", cominci ad essere d'accordo con me? :)

SigurRos82 ha detto...

Non su tutto però :P Soltanto sugli aspetti più postmoderni del tuo pensiero :P

S. ha detto...

Io credo che delle produzioni artistiche (musicali, come pittoriche, architettoniche, letterarie etc.) di interi periodi di tempo, di solito decenni, si possa parlare solo generalizzando e comunque da necessaria giusta distanza.
Di questo decennio, che oggi possiamo credo ancora arrotondare con il primo del 2000, potremo parlare con definizioni generaliste solo tra qualche anno e probabilmente ne parleremo come un periodo di tempo in cui le produzioni commerciali di “pop di consumo” hanno sostanzialmente caratterizzato gran parte della musica registrata, affossando le "minoranze" (in proporzione) che hanno invece prodotto grandi cose, in molti casi fortemente radicate nel passato e in altri invece anche capaci di mettere un piede (e anche due) nel “futuro”.
Purtroppo, se si parla di decenni, è impossibile analizzare ogni cosa che li ha caratterizzati ed inevitabilmente si cerca un'identità di media che possa racchiudere la sostanza che ci è arrivata nei dieci anni di cui parliamo. Da questo punto di vista, anche superficiale se vogliamo, credo appaia inconfutabile (oddio, niente lo è) che gli anni 80 e i 90 hanno dato poco alla storia della musica, hanno contribuito in piccola parte alla sua crescita e hanno lasciato tracce e solchi poco profondi, immersi in uno standard di inconfutabile poco spessore. Allo stesso modo, è impossibile negare che gli anni 70 sono stati un'esplosione artistica e sociale , anche perché hanno seguito la seconda metà dei sessanta in cui tanto era stato seminato, e che hanno costituito una incredibile risorsa per tutto o quasi quello che nei vari campi artistici li hanno seguiti. La sperimentazione, la libertà espressiva, il bisogno di andare ben oltre un presente non aderente all’identità della generazione che lo viveva e la necessità di urlare un cambiamento generazionale, culturale e sociale, unitamente all’apertura verso una “globalizzazione” che ha stimolato un confronto su ogni piano, sono stati il terreno fertile per un periodo musicale che ha fatto la storia e che resterà nella storia, credo, per moltissimi altri decenni a venire.
La stessa cosa non potrà mai dirsi delle decadi che oggi vengono trattate da minori, pur sgrassando la parte di snobbismo di cui parli tu, che certamente pure c’è.
Stessa cosa penso sarà per il periodo che viviamo, o che abbiamo appena vissuto: si può oggettivamente credere che la produzione musicale degli ultimi dieci/dodici anni abbia, in media, lo spessore, l’innovazione, la valenza e la profondità di quella che è stata prodotta, in media, nel decennio ’70 e che gli ha permesso ancora oggi di essere considerata, pur fortemente figlia di quel periodo, al di fuori dello spazio-tempo in cui è stata generata? Io credo che, pur dando il giusto peso ai non pochi che hanno fatto grande musica in questi anni, la risposta sia decisamente no.
Purtroppo la gran parte di ciò che esce oggi dagli studi musicali ha il potere di relegare quello che di buono c’è ai margini di un decennio a cui sarà appiccicato il marchio di massa della musica creata ad arte per vendere a chi cerca in ciò che ascolta, come in ciò che legge e che guarda al cinema, il prêt-à-porter.
Che poi il discorso resti in fondo un’analisi sterile, siamo perfettamente d’accordo. Anche perché ogni cosa, al di là del momento in cui nasce, porta nel suo dna ciò che è stato prima del suo concepimento e ne è inevitabilmente frutto e conseguenza. Che gli anni ’70 potessero esistere senza ciò che sono stati i ’60, e prima di essi i ’40 ed i ’50, è del tutto inconcepibile. Così come non possiamo, neanche nel peggiore momento di pessimismo, pensare che alla fase di impoverimento culturale odierno non segua una rivoluzione di consapevolezza e di sovvertimento, peraltro già in atto, che possa essere terreno fertile per un prossimo risveglio artistico generale.

allelimo ha detto...

S., per la miseria, come puoi partire con un primo paragrafo che condivido in pieno, come parecchie cose del tuo post, e arrivare in poche frasi a sostenere che gli anni '80 e '90 hanno contribuito in piccola parte alla storia della musica?
Stai parlando, evidentemente, della storia della musica che piace A TE.
Come fanno d'altra parte tutti: ad esempio, se ne era già parlato in questo post.
Ognuno scrive la storia a partire dal suo personale punto di vista: è inevitabile.
Ognuno E' la SUA storia. Non è egocentrismo, è la normale condizione dell'essere umano.
Che riesce a vivere solo perchè è convinto che, in fondo, la morte esiste sì, ma per gli altri: ognuno di noi è segretamente convinto di essere immortale.
E in fondo, è vero: noi, per noi stessi, siamo immortali.
Siamo l'inzio e la fine del mondo, e ne siamo il centro.

E non possiamo che estendere questa nostra convinzione su tutte le nostre esperienze.
Che sono, per l'appunto, nostre.
Se non ci fossimo noi, non esisterebbero. E quello che non conosciamo, per noi non esiste.

Non è facile uscire da questo modo di vedere le cose, eh.
Io cerco di provarci.
Per me, diciassette anni nel 1980, il mio mondo musicale si è costruito lì: la creatività, l'esuberanza giovanile, il "cuore" della musica è emozionalmente lì, negli anni '80.
Ma so perfettamente che questo dipende SOLO ed ESCLUSIVAMENTE dal fatto che IO avevo 17 anni in quel momento.
Non pretendo, e non credo di aver mai scritto, che la storia della musica lì cominci e finisca, che quel periodo sia inconfutabilmente migliore di tutti gli altri.
Perchè ognuno dirà, in modo assolutamente coerente e sincero, la stessa cosa del periodo in cui lui aveva 17 anni.

E cercando di vedere le cose da una prospettiva più ampia, io vedo un filo che unisce gli anni '60 all'oggi, attraverso una continua evoluzione di manifestazioni musicali che costruiscono il nuovo a partire dal pre-esistente.
E ci sono cose che mi piacciono in ogni periodo, cose che riconosco come valide pubblicate negli anni '60 ma anche l'altroieri.
Cerco di impedire che il fatto di aver formato la base del mio gusto musicale in un dato periodo lì mi inchiodi, in quello stesso periodo.
Perchè quello sì, è il modo migliore per dare una data alla morte della musica: fermarsi.
Finchè posso, cerco di muovermi.

S. ha detto...

Sono d’accordissimo con te sull’evoluzione musicale che, come ogni sviluppo, attraversa fasi di creazione e di depressione in una relazione di effetto che probabilmente tra molti decenni porterà a considerare la musica dagli anni ’60 agli anni 2000 come quella di un’unica e persino coesa fase artistica (ecco perché la valutazione da giusta distanza è l’unica che può avere un senso reale), valutazione dalla quale probabilmente scaturirà un giudizio generale monolitico.
E sono anche perfettamente d'accordo sulla propria storia, il proprio gusto ed il proprio personalissimo punto di vista, naturalmente. Eppure credo che, senza trascendere da tutto questo, esistano dei punti oggettivi capaci di poter fissare criteri cardine di valutazione, generale e generalizzante s'intende, relativamente al”valore storico” di certa musica rispetto ad altra (come in ogni altro campo della produzione artistica umana). Questi criteri, che certamente non cambiano gusti e punti di vista, possono però rivelare in quali punti della storia, ad esempio, possano ritrovarsi radici di gran parte di ciò che quella storia l'ha seguita e, magari, tutt'ora la segue. Così come possono essere valutati altri aspetti, quali innovazione, ricchezza e profondità, imprescindibilità e perfino “semplice” rarità di talento.
Allo stesso modo si può con una certa oggettività, che mantiene comunque margini di errore grossolano, costatare quanto determinata musica sia sparita dalla storia, appiattendosi su sé stessa e soccombendo a quella che, decenni prima, diceva ben più e molto meglio di quella che l’ha poi imitata e smontata e rimontata più volte.
Chiaro che tutto questo poi viene messo del tutto da parte in favore di ciò che amiamo ascoltare, quale che ne sia il valore pseudo-oggettivo e a prescindere anche da una conoscenza musicale più o meno approfondita.
Del resto se il tuo discorso, che pure per molti versi fotografa una realtà, fosse la chiave esclusiva per giustificare un giudizio precostituito di sfavore verso ciò che ha seguito il nostro “momento d’oro” e di tutela cocciuta di esso, io dovrei considerare i dieci anni a cavallo tra ’90 e 2000 come il periodo di massimo fulgore musicale, visto che ho avuto 17 anni nel 1996 e che inevitabilmente ho vissuto un contesto musicale e sociale coerente con quel periodo nel quale è collocata gran parte delle mie esperienze giovani e dal quale, crescendo, mi sono allontanata del tutto.
Che poi questi giudizi di fatto uccidano tutto ciò che di grande qualità esiste in ogni contesto storico e musicale, è indubbio ed è il motivo per cui le nostalgie e gli ancoraggi molto spesso sono largamente deleteri. Se poi, come dici tu, diventano giustificazione per inchiodarsi a ciò che si era (e che ottusamente si è) e a rifiutare anche solo il tentativo di apertura all’attuale, ovvio che ci si fa del male e che soprattutto lo si fa alla giustizia delle cose.

good vibration ha detto...

Sostanzialmente sono d'accordo con il post. La posizione critica un po' nostalgica che vede il buono nel passato ma è incapace di riconoscere il valore nel presente è una costante di tutte le epoche (non solo nel rock). Quest'impostazione critica è sicuramente ciclica (quante volte abbiamo sentito dire "Il rock è morto?"). Che la storia della musica, o del rock, sia ciclica però avrei qualche dubbio, semplicemente non credo possa essere ridotta a uno schema, anche se può avere sicuramente elementi di ciclicità.
Comunque è sempre una tematica affascinante...

Paolo ha detto...

A me sembra assurdo dire che siccome quelli che contano sono i gusti personali non si può dare un giudizio sui periodi musicali. Se fosse così allora siccome qualcuno preferisce Allevi a Mozart allora non si può dire oggettivamente che Mozart vale molto più di Allevi. Stessa cosa per chi preferisce Moccia a Joyce e così via….......
I parametri oggettivi esistono e sono una cosa diversa dai gusti. Quindi si può dire eccome che gli anni 70 sono stati musicalmente più importanti per la storia della musica di quanto lo sono stati gli anni 80, i 90 e il 2000. Tutta la storia sulla giovinezza qui non credo c’entri niente e che negli anni 70 si parlasse male della musica contemporanea, anche se nell’articolo che citi si parla male solo di una parte cioè del soft rock britannico della prima metà dei 70, ci sta tutto visto che per valutare gran parte della musica di quel periodo ci è voluto tempo proprio perché gli ascolti del periodo erano limitati e complessi e uno sguardo d’insieme è stato possibile solo dopo. I giornalisti e i critici musicali non sono stati tutti giovani in massa negli anni 70 ma alcuni negli 80, nei 90, nei 60, nei 50 e così via, quindi come ti spieghi che praticamente tutti indicano quel decennio come quello più importante?

allelimo ha detto...

S., sull'oggettività ti rispondo qui sotto, insieme alla risposta a Paolo.
Sui diciassette anni, non erano da prendere come numero magico assoluto, ma come "periodo nel quale si è cominciato ad interessarsi approfonditamente" a una data cosa.
Sono perfettamente d'accordo con le tue conclusioni: rifiutare a priori qualsiasi cosa, può solo fare del male.

good vibration: per me la storia della musica non è ciclica, tutt'altro. Come ho già detto sopra, la ciclicità è solo nel modo di approcciarsi delle persone.

Paolo, sono quasi tre anni (cioè da quando esiste questo blog) che ciclicamente ritorna l'argomento "giudizio oggettivo sulle forme d'arte".
L'ultima volta in questo post, ma è successo diverse altre volte.
Al momento, nessuno è ancora riuscito a indicare il modo per fornirlo, questo giudizio oggettivo.
E siamo in buona compagnia, eh: 3000 anni di storia della filosofia non sono riusciti a risolvere il problema dell'oggettività estetica.
Se avessi tu il modo di risolvere il problema, indicando quali siano questi "parametri oggettivi", ben lieto di riprendere il discorso.

Sul perchè "praticamente tutti indicano quel decennio come quello più importante", la risposta è semplicissima: perchè non è vero che lo facciano tutti.
Vedi ad esempio questo altro post, già citato poco sopra...
:)

good vibration ha detto...

sì sì... ma infatti non volevo dire che la tua visione era ciclica. Secondo me la storia della musica (come la storia in generale) non è interamente riducibile a schemi (ciclico, evolutivo, involutivo, parabolico, ecc…). Questi schemi sono come noi la vediamo, perché in effetti alcune traiettorie simili ci sono, ma non sono che una parte della storia (solitamente la parte che scegliamo noi o che ci colpisce). La storia per me è sempre più grande e complessa delle nostre schematizzazioni (che magari possono anche essere utili, basta sapere che non la esauriscono). Non vorrei comunque filosofeggiare troppo… meglio che mi fermo qui.

allelimo ha detto...

good vibration, non c'è nessun problema: filosofeggia quanto vuoi!
Tutto il web che parla di musica (noi compresi, ovvio) è fatto di persone che hanno troppo tempo libero e che cercano di occuparlo discutendo di una cosa così evanescente e immateriale che forse non è nemmeno definibile come "cosa".

La musica, le sue vibrazioni, riempiono le nostre vite (o buona parte di esse) di ascoltatori e musicisti, ed è bello parlarne con chi ha i tuoi stessi interessi.

Spesso nascono discussioni interessanti.
A volte pretenziose, a volte troppo seriose, altre volte leggere e ironiche al punto giusto.
L'unica ragion d'essere di questo blog è provocarle, e divertirsi nel parteciparvi.



Good Vibration ha detto...

Ok, allora continuo! Effettivamente il tuo articolo mi ha dato lo spunto per filosofeggiare ancora un po’… Ho appena scritto un post sempre riguardo alle difficoltà dei critici a riconoscere il valore musicale nel presente, mi rifaccio a un esempio un po’ diverso (Gershwin). È qui: Rhapsody in Blue. Quando la musica sfugge alle categorie dei critici musicali Mi farebbe piacere avere un’opinione…

Paolo ha detto...

Bè non proprio tutti, ma la maggioranza si :P
E la cosa è abbastanza evidente anche a guardare i dischi di successo messi dai critici tra i migliori degli ultimi anni: se si prendono in analisi sono quasi tutti dischi con fortissime ispirazioni, in alcuni casi vere e proprie imitazioni, di grandi gruppi del passato.
Riguardo ai parametri oggettivi, penso che alcuni ce ne possano essere: l'originalità sicuramente che si contrappone alla ripetizione dozzinale di uno stile, la qualità e la complessità dei giri armonici che si contrappone a quelli fatti di accordi vicini e facili facili, la qualità dell'arrangiamento, la qualità di chi quel pezzo lo suona e anche la qualità del testo, se c'è, che si valuta su criteri simili a quelli già detti. Poi ogni genere musicale ha parametri suoi, ma credo che questi bene o male li abbraccino tutti.
Forse il fatto è che la musica rock ormai ha proprio esaurito tutto quello che doveva dire e oramai non fa che reimpastare quello che hanno fatto e detto altri. Non dico che la musica tutta sia a questo punto, anzi, ci sono altri generi che sono in continua evoluzione e che riservano novità ogni giorno.

allelimo ha detto...

Paolo scusa, mi sono perso.
Per definire la qualità di una canzone tu proponi come parametri oggettivi "la qualità" dei giri armonici, dell'arrangiamento, del testo, di chi suona il pezzo?
Non ti rendi conto del corto circuito logico del tuo ragionamento?
La qualità di una cosa è definita oggettivamente dalla qualità degli elementi che compongono la cosa stessa?
E chi la definisce oggettivamente la qualità degli elementi?

Parli di solo due cose vagamente oggettive: l'originalità rispetto alla ripetizione dozzinale, dopo aver detto nella prima frase che i dischi migliori degli ultimi anni secondo i critici rock sono vere e proprie imitazioni dei grandi gruppi del passato.

La complessità dei giri armonici, e no eh!
Vediamoli un po' questi giri armonici.
Prendo quattro gruppi che spero siano giudicati rappresentativi del "miglior rock" del passato (Doors, Led Zeppelin, Clash, Joy Division: c'è il rock, l'hard rock, il punk e la new wave)
E prendo alcune delle loro canzoni che più mi piacciono.

Vediamo le complessità armoniche dei grandi gruppi rock:

Doors - Backdoor Man
E' un blues: Sol, Mi, Re.
Fine.

Prendiamo un pezzo più complesso: The End
Re Do Re Do
Re Do Sol

Vabbè, ma i Led Zeppelin del mitico Jimmy Page?
Whole Lotta Love
Oops... non c'è nessun giro armonico.
Solo un riff:

e ----------------------------------------|
B ----------------------------------------|
G -----------------9--------9--------9--|
D -----------------9--------9--------9--|
A --------5----5---7--------7--------7--|
E --(5)>7----7-------0-0-0----0-0-0--|

Passiamo ad altro, al punk dei Clash e alle canzoni da loro dedicate a Londra:

London's Burning
Sol Fa Do Fa
Sol Fa Do Re

London Calling
Mi- La-7 Mi- Sol

Mi- Sol Mi- Sol
Mi- Mi-7 Re

E infine i Joy Division:

Atmopshere
Si Mi

Dead Souls
Sol Fa
Sol Re# La# Do

Adesso, facciamo il paragone.
Con due degli autori italiani più sbertucciati da tutti: Tozzi e Pupo.

Pupo - Santa Maria Novella

|Re Mi- Sol La| x2

|Re Re7 Sol La7|
|Fa#- Si- Mi-7 La7| x2

|Re Si Mi Fa#- |
|La Si7 Mi Fa#-|
|La Si7 Mi Mi7 | x1

|La Si7 Sol#- Do#-|
|Fa#- Si7 Mi Mi7 | x6


Umberto Tozzi - Gli altri siamo noi

Mi limito agli accordi usati, la struttura è un po' complessa (bisognerebbe mettere tutta la canzone)
Sib Fa/La Sol-7 Fa
Mib Sib Lab Mib
Sol- Re/Fa#
Fa-6 Do- Lab/Mib

Ora, dimmi pure tu: quali sono i pezzi migliori in base alla "complessità dei giri armonici che si contrappone a quelli fatti di accordi vicini e facili facili"?

allelimo ha detto...

Good Vibration: bellissimo il tuo post su "Rhapsody in Blue", che dimostra quello che sostengo da sempre: in musica tutte le novità vengono viste dai contemporanei come insulti alla "vera musica", salvo poi diventare "vera musica" per la generazione successiva, che a sua volta etc.
Sono piuttosto sicuro che a cercare si troverebbero giudizi del tutto simili per Mozart e Beethoven... ;)

Paolo ha detto...

Riguardo al discorso dei dischi più valutati dai critici, il fatto che quelli che sono ritenuti i migliori siano degli impasti di vecchie glorie del rock è significativo da un lato del fatto che ai giorni nostri nel rock la qualità delle nuove uscite è scarsissima, sia del fatto che comunque la musica degli anni 70, anche se imitata o comunque usata come fortissima ispirazione resta attuale e sempre comunque apprezzatissima.
Riguardo alla qualità oggettiva, le cose per cui l'ho citata penso non siano confutabili dal gusto: a qualcuno jimi hendrix può non piacere, ma non ho mai sentito una sola persona negare le sue qualità incredibili di chitarrista. Stessa cosa l'arrangiamento.
Riguardo ai giri armonici, i pezzi che hai citato non ne hanno granchè, ma hanno altre caratteristiche che li rendono comunque storici, così come esistono tanti altri brani molto più complessi da questo punto di vista. I criteri sono molti, non è detto che ogni pezzo per essere giudicato di valore debba averli tutti.

allelimo ha detto...

Paolo, quali altre caratteristiche?
Se stiamo parlando di criteri oggettivi, vuol dire che valgono SEMPRE, non a seconda che servano per dimostrare quello che vogliamo noi oppure no.
O la complessità del giro armonico è un criterio oggettivo oppure non lo è.
Se lo è, i pezzi di Pupo e di Tozzi sono meglio di quelli dei Clash e dei Led Zeppelin.
Se no, non è un criterio oggettivo.

Ma forse non ci capiamo bene sul significato di oggettivo, così ti metto qui una definizione :

"Reale, effettivo: concreto, che si fonda su dati e cose sperimentabili; obiettivo, imparziale, che si attiene ai fatti senza intervento del soggetto."

Ovvero:
2+2=4.
Da casa mia la mio ufficio ci sono 15 chilometri.
La copertina del "White Album" dei Beatles è di colore bianco.
I Doors hanno inciso il loro primo album nel 1966.
Le cose qui sopra sono oggettive.
"Non ho mai sentito una soloa persona negare le qualità di chitarrista di Jimi Hendrix", NON è oggettivo.
E' pesantemente soggettivo, come tutti gli altri criteri da te proposti.

Sul discorso anni '70 e qualità delle uscite rock ai nostri giorni, boh.
Dipende da cosa ascolti tu, da cosa secondo te è attuale e apprezzato, da chi secondo te sono i critici affidabili.
Soggettivamente, per me ci sono moltissime musiche interessanti in questi ultimi anni, per te no.
Va benissimo.
Ma è soggettivo, non oggettivo.

enri1968 ha detto...

Tornando al tuo post - mi sono perso nei commenti, colpa mia - è un concetto che hai già espresso e che condivido.

Infatti la stampa italiana che si definisce critica è "irrimediabilmente stupida" e aggiungo piuttosto noiosa, infatti è poco appassionante leggerla.

enri1968 ha detto...

E vorrei aggiungere che si parla di musica ma dei testi ? Sono mai stati considerati realmente? Dovrebbero essere un tutt'uno con la musica, no?

allelimo ha detto...

enri1968, i testi sono un argomento spinoso.
Dovrebbero essere un tutt'uno con la musica, certo: ma niente di più.
Ne abbiamo già parlato (poco), magari riprendo l'argomento.

Unknown ha detto...

riprendiamolo alle il discorso sui testi, ti prego!))

Joyello ha detto...

Sono talmente tanti e complessi, che non ricordo quale dei commenti mi ha fatto venire in mente questa intervista a Ligabue. Credo sia stato quello con Pupo e Tozzi. Insomma, Ligabue durante un'intervista ha detto: "I Beatles usavano tanti accordi, spesso uscendo dalla tonalità ma facendo in modo che la loro complessità sembrasse semplice alla gente. I Rolling Stones invece usavano pochi accordi perché, arrivando dal blues, si erano tarati sull'uso tipico del blues di tre accordi. Io ho sempre avuto simpatia per chi usa pochi accordi perché mi sembra che se la debba guadagnare un po' di più la pagnotta. Intanto perché fai meno sfoggio di chissacchè ma soprattutto perchè devi far funzionare la melodia su poche varianti. I primi tempi, quando uscivano le prime recensioni su di me, leggevo 'Ligabue, bravo certo...ma scrive canzoni con due accordi' ed io pensavo: che figata mi hanno capito! Ma poi dopo un po' mi sono reso conto che quello, per i giornalisti, non era un elogio e che intendevano dire che, sì, sono bravo 'MA' scrivo canzoni con due accordi. Così ho detto: vabbè, se il male è quello, adesso vi faccio vedere io e faccio una canzone in cui gli accordi li metto dentro tutti quanti. Era "Certe Notti" che parte in Re maggiore, poi Mi Maggiore, Fa diesis minore, Sol diesis minore, La maggiore, Si maggiore, Do diesis minore e poi Re diminuita [...] ma non solo, gli accordi in questo pezzo frullano, rigirano, fanno girare la testa a chi suona con me che spesso mi maledice perché deve stare concentrato all'inverosimile, specialmente il bassista... bla bla bla... Morale: esce il pezzo e la prima recensione dice: 'Ligabue fa centro ancora una volta con la sua canzone coi soliti due accordi' "

A 3:15 di questo filmato: http://www.dailymotion.com/video/xhwd0q_intervista-a-ligabue-al-senso-della-vita-2di-2_shortfilms

enri1968 ha detto...

@ Allelimo per favore prendi in mano l'argomento mi interessa il tuo "pensiero"!

@ Evilmonkeys grazie !

allelimo ha detto...

D'accordo, discorso sui testi in un prossimo post.

Joyello, bello il video con Ligabue.
Che non mi piace, ma è tutt'altro che stupido.
E che dimostra per l'ennesima volta che:
1 - i giornalisti non capiscono un cazzo di musica;
2 - il numero degli accordi (o la loro complessità/rarità etc.) non ha nulla a che vedere con la "bellezza" del brano che li contiene.

Purtroppo, ancora una volta non si è trovato nessuno criterio oggettivo per definire la qualità di una canzone.
Sarà per la prossima volta...?